Arte – Lo sfuggente linguaggio della body-art

Un’opera d’arte per funzionare, per essere ricordata, per perpetrarsi, per deve lasciare il segno. E’ decisamente un postulato banale e scontato, ma è un’affermazione dietro cui si possono nascondere un milione di ragionamenti diversi,ma sopratutto un punto di partenza dietro cui possono diramarsi decine di strade che portano a luoghi disparati. Se ti gira la testa davanti ad un quadro, se ti commuovi fino alle lacrime guardando un film, se ti metti a cantare ascoltando una canzone, sono tutti segni dell’arte lasciati nel tuo corpo. Certo: segni invisibili. Null’altro che stimoli sensoriali che vanno a strizzare aree dell’anima, della personalità, della sensibilità artistica che magari non sospettiamo neppure di avere.

 

Marina Abramovic

Ma c’è una forma d’arte che può lasciare anche segni ben visibili

La body art il 90 per cento delle volte lascia segni indelebili, in chi la guarda e subisce ma prima di tutto sul corpo dell’artista che la pratica. Si perchè la body art non è un estensione materiale della carne dell’artista ma la carne dell’artista che si fa materiale artistico. E allora ecco: cicatrici, menomazioni, mutilazioni in casi davvero estremi la morte. Il corpo diventa antiestetico, anaplastico, displasico. I Surrealisti dicevano che l’arte nasce dalla ragione dormiente, la body art ne è la dimostrazione.

Al posto della ragione, filtro attraverso il quale tutti cercano di dare un percorso alla propria vita, e quindi gli artisti un orizzonte alla propria arte, prendono potere gli istinti e le condizioni umane. Francesca Alfano Miglietti scrive che: “nella body art e in tutte le performance il sesso, la malattia, i desideri, le oppressioni, il dolore, la nevrosi, agiscono sui corpi lasciandovi i suoi segni”, insomma solamente, o addirtittura, un carnaio di segni, come diceva Foucault.

Una visuale bidimensionale potrebbe suggeririci che forse la body art è semplicemente la ribellione del “solo corpo” ad una società dove tutto pare possibile, una società dove l’immagine paradigmatica e pulita delle espressioni artistiche da puro intrattenimento, da gran bollito commerciale, rimbalza in mille media: radio, tv, fotografia, internet, videogame.

Ci si trova allora a leggere un infinito recircolo dell’immagine immaginata dell’espressione umana che alla fine è pur sempre un rimbalzo contro le arti classiche come pittura e letteratura. Arti che invece vengono aborrite dalla body-art. Un allontanarsi dalla forma classica di espressione che, prendendo a prestito gli stilemi del manifesto del Futurismo pubbilicato su Le Figaro da Tommaso Marinetti il 20 febbraio del 1909, potrebbe designare a questa forma d’arte estrema la “consapevolezza totale dell’uomo come artista”, un’idea in fondo sostenuta anche dal sociologo Marshall McLuhan, o da Lea Vergine che che indicava la strada nella “perdita d’identità, il rifiuto del prevalere del senso della realtà sulla sfera emozionale”.

Di sicuro nella body art viene definitivamente rescissa e successivamente uccisa la prospettiva dell’artista. Un sacrificio nel sensp più crudo del termine. Pensiamo solo che quando vediamo un quadro, un film, una scultura, siamo posti di fronte a cio che ha prodotto l’immaginario dell’esecutore dell’opera. Nella body art no, siamo noi a dovere immaginare il risultato finale messi di fronte al corpo stesso dell’artista che si fa soggetto e anche oggetto del’arte diventando un tutt’uno con essa. Niente immaginari. Si salta a pie pari il problema che Freud appuntava in L’Io e l’Es del 1922 quando scriveva che: “il pensare per immagini è dunque un modo assai incompleto di divenire cosciente”.

Una foto della serie The Mourge di Andreas Serrano

Niente immagini da rimuginare e analizzare con calma per farne in un momento successivo bagaglio culturale ma bensì, violentemente, la realtà spiattellata in faccia con crudezza estrema. La realtà incernierata innanzitutto di un corpo che è stato portato lontano dalle sue funzionalità imposte, quelle biologiche per cui è progettato (dall’evoluzione o da Dio poco importa). Un corpo che viene teatralizzato dal sangue, il sangue l’elemento più pornografico che esista, una cosa da nascondere più del sesso, più dell’involucro che lo contiene. La vera parte dell’arte che non è sostenibile, diviso dal mondo dal sottile strato dell’epidermide che lo tiene conservato e nascosto. Ma quando esce ha potenza estrema, così come dimostra la teatralità della cinematografia splatter.  Prodotto postmoderno delle pratiche culturali sfuggenti, frammentate, decanonizzate, sconsacrate ma che abbisognano di elementi precisi per esistere: tempo spazio, corpo dell’artista e presenza del pubblico che è elemento fondante della body art. Senza pubblico la body art non potrebbe esistere, sarebbe soltando una probabile patologia dell’artista che solitario infierisce sul suo corpo, al contrario di tutte le altre arti che nascono in primis, o in origine, come espressione personale del pensiero, la body art è esibizionistica.

Le imposizioni culturali, religiose e sociali spingono, come sottolinea lo storico dell’arte Ernst Gombrich, a farci considerare questi artisti solo dei folli, delle persone che hanno fatto saltare gli schemi mentali del quieto vivere, della società civile. Per andare oltre questa codifica imposta dalla società serve, secondo Gombrich una:  “concezione evoluzionistica della mente”. E’ ancora Gombrich a darci la chiave di lettura definitiva: “non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti”.In vero questa è una definizione di un estremismo allarmante. Rendendola assoulta potremmo provarci di qualsiasi icona o idolo. E’ come se ci venisse detto che la body art è arte iconoclasta, che detto così può apparire come puro controsenso. Ma alla fine, anche senza essere così estremisti si può condividere la divisione del fare artistico che prova a codificare la studiosa Adalgisa Lugli quando scrive che la polarità artistica può essere: “quella del rappresentare o quella del fare”.  Se per centinaia di anni l’arte è stata rappresentare, e per il 90 per cento lo è ancora e lo sarà, la body art ha portato a galla la polarità del fare, con il corpo dell’artista che si fa opera.

Insomma una rivoluzione epocale che fa si che in un colpo solovenga prodotto un unicum del pensiero di centinaia di anni di storia e filosofia. Un solo contenitore dove possono confluire il pensiero di Espressionisti, Cubisti, Astrattisti, Metafisici, Dadaisti e Surrealisti. Tutta gente che ha cercato di mettere su supporto fisico una cosa irrealizzabile. L’unico supporto possibile alla luce di questi ragionamento è il corpo. Solo che, come analizza la critica d’arte de Il Sole 24 ore Angela Vettese, “la body art deperisce nel tempo”.

Gina Pane

E allora che forma d’arte rivoluzionarea è una espressione che per sussistere e per farsi conoscere, anche se con una spinta emotiva limitata dal mezzo, ha bisogno alla fine di affidarsi di nuovo alle arti classiche che essa ha cercato con virulenza di scardinare? Se non ci fossero a disposizione le fotografie, il cinema, la letteratura, anche questo articolo, la body art non esisterebbe. Chi saprebbe qualcosa delle perfomance di Gina Pane, di Franko B, di Marina Abramovic, se non fossero state fotografate e filmate, raccontate ed analizzate? Solo chi ha assisitito. Sarebbe un arte orale, che si tramanda nei racconti. Allora per forza di cose la body art deve cannibalizzare le altre arti per perpetrarsi e non scomparire una volta terminata la performance, una volta che il corpo dell’artista torna ad essere privato.

Il connubio perfetto allora è forse quello di Andreas Serrano? Lui non è un artista di body art ma un fotografo, i modelli della serie The mourge non sono artisti della body art ma cadaveri in un obitorio. Il mezzo che utilizza non è ascrivibile alla body art, è una macchina fotografica, eppure come si fa a non ascrivere alla body art queste immagini? Oppure la perfezione è quella di Orlan che si è inventata l’arte carnale facendo diventare un’operazione chirurgica una performance ed il suo corpo permanentemente installazione superando così la problematica dell’ineluttabilità della scadenza della body art?

Franko B

Non ho di certo risposta e di certo la blasfemia della body art è ancora ben distante dall’essere del tutto compresa. Probabilmente è ancora a livello altamente carbonaro. Anche se la performance basata sull’immobilità di Marina Abramovic, che per mesi è rimasta seduta immobile alla merce delle violenza degli sguardi dei vivitatori del Moma di New York, in diretta streamnig in tutto il mondo sulla rete, ha spostato un’altra volta di un passo in la quello che questa estrema e sfuggente forma d’arte può dare e dire. O forse la parola definitica l’ha detta Pippa Bacca che per una perfomance artistica è stata barbaramente assassinata?