Arte – Rosso su bianco (la poetica di Franko B)

“La gente va in guerra per il sangue”. Plic, la prima goccia cade a terra scivolando sulle braccia bianche. Il silenzio si fa onirico, spesso, musicale.

 

“Quello che sto facendo è rendere sopportabile l’insopportabile”. Plic, la seconda goccia dopo avere a lungo indugiato su quale strada prendere è corsa veloce. Cade a pochi millimetri dalla seconda. La terza, la quarta.

 

Il bianco, spesso, straniante, strato di cerone nasconde i mille tatuaggi che campeggiano sul corpo che gocciola sangue. Non si vede la croce rossa sul petto. “È stato il mio primo tatuaggio. L’ho fatto per indicare la mia condizione di rifugiato, nel senso che qui sulla Terra siamo tutti rifugiati. Non apparteniamo veramente a nessun posto, su questo pianeta”. E intanto plic, plic, la pozza ugualmente rossa ai piedi del bianco corpo si allarga.

 

“Cola il sangue di Franko B scultore di se stesso”, titola il Corriere della sera dell’11 marzo del 1998. L’oscuro articolista di cultura ci racconta che il performer londinese arriva per la prima volta in Italia con la sua “body art estrema. La più cruenta e selvaggia delle espressioni artistiche”.


 

Peccato che sia nato a Milano e che in Italia abbia passato il periodo peggiore della mia vita. A Londra ci fuggii nel 1979. In Italia mi avevano internato. Dal 1970 al 1974. In un istituto della Croce Rossa. Un istituto per bambini provenienti da famiglie difficili con un enorme croce rossa sul tetto che si vedeva da ogni parte del quartiere

 

Plic, plic, plic. Le gocce si fanno fiotto. Un fiume che scorre placido verso il pavimento.

 

“La croce rossa è il più bel simbolo, la più bella scultura che abbia mai visto. È allo stesso tempo sessuale e sensuale. È un segno di disperazione che non lascia indifferente nessuno, e al quale mi sono affezionato”.       

 

Leccatemi le ferite. Metaforicamente dico. Sono senza patria da quando sono uscito dall’utero di mia madre. Da quel momento ci dicono cosa è giusto e cose è sbagliato. E un precetto fondamentale è che quello che è all’interno del corpo deve rimanere dentro. Soprattutto il sangue.

 

Sangue, urina, saliva, sperma. Un cocktail genetico. Tutto fuori, tutto in vista. I giornali dicono che il corpo bianco è malato. Hiv, Aids. Così che faccia ancora più paura.

 

“Io però uso il sangue come pittura. Non mi considero un artista radicale. Cerco solo di sopravvivere”. “Si”, risponde Betti, “ma anche se sei definito uno dei più sconvolgenti e interessanti performer di questo Millennio per me sei solo una persona molto dolce”.

 

Plic. Il sangue ha formato una pozza larga e scura. Il bianco corpo sembra barcollare. Il silenzio adesso è un muro solido che appare indistruttibile. Un muro solido che ha reso mattone tutto il rumore del mondo.

 


Questo corpo bianco è un icona, una zona di guerra, la stanza delle torture, la carne che resiste. Ospedali e ospizi, manicomi e carceri. Tutto è ipotizzato e ipotizzabile sul corpo bianco che pare essere ad un passo dal crollo. La gente attorno è raggelata. Come in preda ad un panico invisibile e paralizzante. Percepisce che le violenze subite dal corpo sono rimesse in circolo dall’artista… sul proprio corpo. Un cortocircuito che spiazza anche il critico d’arte più illuminato e progressista.

 

Ancora il Corriere della Sera, stavolta nel gennaio del 2004. Un articoletto che cerca di sbriciolare la sovversione. “Noto per le performance estreme nelle quali trasformava il suo corpo in una tela palpitante, l’ artista inglese Franko B espone da stasera lavori recenti in cui predomina invece l’ aspetto pittorico: grandi tondi con simboli universali, come la croce e il cerchio”, come se la poetica violenta del corpo sia finita. Ancora senza patria Franko B viene definito quello che faceva delle cose cruente… Adesso no.

 

Nato a Milano, residente a Londra dal 1979. Dato per pazzo, internato. Dopo un infanzia devastante dal 1990 l’anonimo ragazzetto diventa Franko B. Il performer da body art che la rivista Virus definisce il più sconvolgente da mille anni a questa parte. Nelle sue performance si incide la carne, si fa sodomizzare, si apre il petto. Sconvolge sempre, comunque. Ha reinventato ed estremizzato la body art del sangue, così come la intendeva Gina Pane.

 

Al fine del mondo il corpo stramazza a terra. Il silenzio è rotto.