La cinematografia di serie A si è accorta della sua figura solamente in questi mesi, grazie all’ultimo lavoro del cineasta spagnolo Pedro Almodovar. Parliamo di una delle figure più sfruttate dalla cinematografia di genere: quella del Mad Doctor, il dottore pazzo.
L’incanutito e spettacolare Antonio Banderas ha portato anche sugli schermi delle multisale, con l’algido e carnale professore pazzo protagonista di La pelle che abito, una figura che i cinefili appassionati di cinematografia di serie B conosco bene ed apprezzano. Tutti i grandi registi di genere hanno almeno una volta nella loro vita messo in campo le ossessioni della chirurgia per spaventare ma soprattutto affascinare il proprio pubblico.
Si, perché i percorsi di trasformazione terrificanti che in questa particolare branca del film di genere si ritrovano sono spesso affascinanti, richiamano la trasformazione corporea, la body art. E allora qusi si vorrebbe essere, abitare, veramente la pelle di Vicente/Jan Cornet che nel corso del film, degli anni, delle molteplici operazioni, si trasforma nella stupenda Vera/Elena Anaya.
Certo il regista madrileno, che si è ispirato al romanzo Tarantula di Thierry Jonquet, spalma sul suo film una sottile e luccicante pellicola di glamour fetish e di classe che rende il film patinato e comunque d’autore. Non ci sono scene truculente, da film di genere, classiche del filone Mad Doctor. Per il film di Almodovar la critica si è così divisa tra chi l’ha considerato un gran film e chi una delle prove peggiori di Pedro.
Tutto questo perché nessuno dei grandi nomi della critica ha le giuste radici per risalire al contrario le strade della filmografia di genere ed arrivare alle fonti di questa tipologia di film. Fili che una volta tirati restituiscono una manciata di nomi e di titoli che potrebbero essere considerati a pieno diritto padri ed ispiratori del film di Almodovar.
A mio parere il primo film che bisogna citare per tracciare un percorso è la pellicola che per un breve periodo alla fine degli anni ’80 catapultò l’artigiano del sottogenere Jess Franco nella cinematografia di lusso: Faceless. Girato in una scintillante Parigi, e con dispendio di mezzi strano per il regista che, ricordiamolo, è amico e padrino di Almodovar, il film si discosta molto dalla classica filmografia franchiana.
Niente zoom, niente lunghi silenzi, niente sospensioni della trama a favore di passaggi onirici, niente donna in primo piano, centralità del sesso smussata e grande cast con nomi di primo piano come Terry Savalas, Helmut Berger e Stephane Audran, la moglie di Claude Chabrol. Ma nonostante tutti il film mantiene intatta la poetica franchiana. In prima battuta perché una delle protagoniste femminili è la bella Brigitte Lahaie, bionda carnale proveniente dal mondo dell’hard
La trama in breve. La bella sorella di un chirurgo plastico rimane sfregiata con dell’acido per difendere il fratello dalla rabbia di una paziente delusa. Da qui parte la ricerca del fratello del modo di renderle la bellezza. E ci troviamo immersi in una clinica degli orrori dove ricche vegliarde ritrovano la giovinezza grazie a metodi poco ortodossi, il sangue delle vergini. La soluzione per ridare la bellezza alla sorella, con cui il Mad doctor ha un rapporto molto morboso, è trapiantarle la faccia di un’altra donna. Per far questo arriva in scena un altro dottore pazzo, direttamente dagli esperimenti delle Ss, vero grande serbatoio della cinematografia di genere.
Le scene truculente ci sono, ma passano in secondo piano a mio parere di fronte alla grande morbosità franchiana che anche qui, in una produzione di lusso, mette la donna in primo piano e l’uomo in secondo, sempre un po’ ridicolo e schiacciato. Vedi il gorilla ritardato Gordon che fa da guardia alle prigioniere.
La morbosità patinata delle immagini rimanda direttamente al film di Almodovar che secondo noi ha preso le mosse proprio da qui. E pensare che il film di Franco è di fatto un rifacimento citazione di se stesso. Una citazione che si fa spregiudicata nell’incontro con Howard Vernon, attore feticcio di Franco, che nel film del 1988 interpreta un ex mad doctor a riposo, il dottor Orlof. Nientemeno che il protagonista di Gritos en la noche, film del 1962 conosciuto come Il diabolico dottor Satana. Pellicola ambientata nel 1912 con i, diabolico Olof che rapisce ballerine di cabaret per trapiantare la loro pelle sul volto della figlia Melissa.
Ma sopresa il plot di Franco era a sua volta stato ripreso da Occhi senza volto (Les yeux sans visage) film del 1960 Georges Franju, splendido horror da primordi con una bellissima Alida Valli. Ma anche Franju aveva un’ispirazione, un romanzo di Jean Redon. Insomma si rischia di perdersi nella notte dei tempi dei rimandi a seguire questa linea. Continuando ad andare indietro si può arrivare ad esempio a Il dottor Mabuse, film del 1922 di Fritz Lang che conta 7 rifacimenti e sequel negli anni. E non è in fondo uno scienziato pazzo anche l’adorabile Frank’n’Further di Rocky horror picture show?
Ma noi vogliamo tenerci ben distanti dalla cinematografia in qualche modo di spessore e seria e proseguire la ricerca nella serie B. Senza voler avere pretese enciclopediche vorremmo citare un paio di film e registi del bel paese per terminare questo piccolo trattato del mad doctor.
La quasi totalità di pellicole a sfondo zombi portano coe incipit una qualche sorta di esperimento andato a male. Un bell’esempio poco conosciuto, anche se la recente ristampa del film nella serie Nocturno cult gli ha ridato dignità, è Zombi holocaust di Marino Girolami. Già dal titolo è ovvio che si tratta di un esperimento un mash-up diremmo oggi, tra due filoni diverso: zombi e cannibali. E così ecco l’ennesima missione antropologica nell’ennesima isola di cannibali che sta volta ci fa incontrare il folle dottor Drydock che fa esperimenti sugli indigeni trasformandoli in zombi.
Ma per l’ultimo film che vogliamo citare torniamo a Parigi. Non potevo esimermi dal citare nella genia degli scienziati pazzi qualcosa girato da Bruno Mattei. Sorvolando sulla sua visuale dello scienziato pazzo in stile Ss, con KZ9 lager di sterminio, che aprirebbe troppi rimandi, come non citare ad esempio nel caso il delirante L’ultima orgia del terzo Reich di Cesare Canevari, preferisco venire ai film direct-to-video che il geniale regista ha realizzato nell’ultima parte della sua carriera.
Il thriller erotico Snuff Kiler la morte in diretta, firmato nel 2003 con lo pseudonimo di Pierre Le Blanc, anche se da qualche parte è accreditato con lo storico pseudonimo di Vincent Dawn, sembra voler riprendere per atmosfere e trama il Faceless di Jess Franco citato in apertura.
La trama. Michelle, figlia di una famiglia borghese, scompare a Parigi. La madre prima assolda un detective e poi si mette sulle sue tracce. E fin qui il plot è esattamente quello di Faceless. Ma al posto della clinica degli orrori si trova una affascinante mad doctor al femminile che usa le ragazze per installazioni che portano alla morte, terribili snuff movie.
Bei corpi mostrati in digitale, quelli di Carla Solaro e della madre Federica Garuti, ben più torbida e affascinante della figlia. Mattei inserisce nel film la sottotraccia della caduta all’inferno della madre che cercando la figlia si fa via via traviare dalla torbida Parigi notturna. Ma il finale è ottimistico e moralistico, proprio come nel film di Almodovar e al contrario di Faceless di Franco dove il finale è aperto ma con apparente trionfo del male, nella classica concezione dei film horror anni ’80.