Cinema – Dalla nazisploitation a Salvatore Ortese

 

Più di 5 anni fa immisi sul mio vecchio blog un articolo dedicato al cinema di genere. Ero non dico all’inizio ma quasi della mia ricerca legata al mondo della cinematografia di serie B. Tentavo di tracciare un albero genealogico del naziporno all’italiana partendo da quello che consideravo, e continuo a considerare, i padri nobili di uno dei più deliranti sottogeneri della cinematografia italiaca: Salò di Pier Paolo Pasolini, Il portiere di notte di Liliana Cavani e Saloon Kitty di Tinto Brass. Tre germi da cui si sviluppò un fiorire di de-generazioni che altri meglio di me hanno studiato ad analizzato, vedi la rivista cult Nocturno, che ha dedicato più di un colto approfondimento a questo genere.

 

In fondo a questo pezzo, che oggi ripropongo corretto e rivisto, parlavo di Sergente cesso di Salvatore Ortese. Il film che non esiste a cui ho dedicato un capitolo del mio libro dedicato al cinema di serie B Cannibal blues. La mia piccola ricerca sul film che non c’è ha portato quell’articolo per oltre 5 anni ad essere il più letto in Italia, primo risultato di Google ricercando Sergente Cesso o Salvatore Ortese, riguardante il film fantasma inventato dallo scrittore Jonathan Coe come traliccio portante del suo romanzo La casa del sonno.

 

Ora nel trasferimento del blog da Splnder a Altervista quello è stato uno degli articoli saltati. Buon motivo per riproporlo oggi e sperare che porti fortuna alla nuova incarnazione di Ossessioni e vuoti a rendere, come il pezzo originale porto fortuna al mio vecchio blog.

 

—-

Una scena di Salò di Pier Paolo Pasolini

 

Il suo ultimo film scatenò un putiferio, ma lui non lo seppe mai, fu assassinato alla periferia di Roma il 2 novembre del 1975, molto prima che il suo capolavoro blasfemo arrivasse nelle sale. Stiamo parlando di Pier Paolo Pasolini e del suo film maledetto Salò o le 120 giornate di Sodoma. Bocciato in prima istanza, ottenne il visto della censura il 23 dicembre del ’75. Sequestrato il 13 gennaio del ’76 e dissequestrato il 5 marzo del ’77 a seguito dell’ eliminazione di alcune scene (masturbazione di un fantoccio e atti di sodomia) che vennero reintegrate in seguito, ma non si sa se totalmente, ancora oggi a più di 30 anni non si è certi del montaggio definitivo del film. Solo il 17 maggio del 1991 al film venne riconosciuta la piena dignità artistica.

 

Insostenibile per libera scelta del regista il film narra le vicende di quattro gerarchi fascisti che fanno sequestrare in una villa giovani di entrambe i sessi per soddisfare ogni loro becero desiderio sessuale e di morte. La cornice storica è una scusa per investire la società di un atto di accusa pesantissimo. Fantasie a base di sangue e di merda fanno del film un invito a chiudere gli occhi e a fuggire. Tesi e antititesi assieme il film potrebbe essere considerato partenza e arrivo dell’ottava arte. Un opera che deve essere vista una sola volta, perdendo per sempre la verginità dei propri occhi. Ma Pasolini non aveva previsto che il suo capolavoro maledetto avrebbe fatto sbocciare un fiore virulento, un genere spesso dimenticato o fatto passare sotto coperta per vergogna, il nazi-porno o erossvastica.

 

Tre sono i capisaldi di questo genere che ebbe il suo inizio e la sua fine nell’ italietta della metà degli anni ’70 (andando però, come vedremo, ad inserirsi in un discorso molto ampio di ‘volgarità’ cinematografica che spesso sposa la genialità) Uno come abbiamo già visto è il film di Pasolini. Sempre nel ’75 un insospettabile Tinto Brass, ancora ben lontano dalla solarità della carnalità che lo contraddistinguerà negli anni ‘80 e ‘90, sfornava la sua perla nera; Saloon Kitty (Italia ’75 col 130 min), la storia di un bordello che nella Germania nazista degli anni ’40 esercitò importante ruolo di controllo su le gerarchie naziste. Ma la vera pietra miliare del genere è di dodici mesi più vecchia: Il portiere di notte di Liliana Cavati era uscito infatti nelle sale nel 1974 (col 120 min). Il film della Cavati ha il merito di aver creato l’immagine iconografica più conosciuta nella storia del genere. Charlotte Rampling a seno nudo solo con un cappello da ufficiale nazista e un paio di bretelle l’abbiamo vista tutti almeno una volta. Le nobili origini del genere vennero messe immediatamente da parte e rimase solo il pruriginoso e ambiguo mondo composto dalle tre S che sono il manifesto del genere sesso-sangue-svastica.

Una scena de Il portiere di Notte di Liliana Cavani

Ora, il fascino dell’iconografia nazista è noto. I colori, le icone, la grandiosità della follia. Tutti ingredienti che ben si prestavano a diventare carne da cannone della produzione cinematografica dell’Italia dei tardi anni ’70 e dei primi anni ’80. Più o meno dalla metà del 1976 alla fine del 1977 uscirono in sala i primi 12 film che prendevano a prestito la genialità dei tre padri nobili trasformandola in aberrazione da puro intrattenimento.

 

Praticamente tutte queste pellicole, che per anni sono state invisibili, hanno dapprima ripreso a circolare con il peer to peer della rete, rippate magari da qualche passaggio notturno sulle prime tv commerciali degli anni ’80, poi con il riflusso e lo sdoganamento del genere quasi tutte hanno trovato ristampe prima su VHS e poi su DVD. Oggi esistono store specializzati in sotto generi, penso a Bloodbuster di Milano ad esempio, dove si possono trovare tutti queste pellicole che solo fino a 5 anni fa erano preziose rarità da scambiare tra collezionisti.

 

Una delle prime ristampe fu a carico della onnipresente Nocturno che nella serie di VHS che allegava alla rivista all’inizio degli anni 2000 ristampò alcune di queste pellicole. La prima che vidi personalmente fu KZ9 Lager di sterminio del più grande interprete del sottogenere italiano, Bruno Mattei. Il film è ispirato alla figura dell’ angelo della morte  il famigerato dottor Mengele, di cui il film narra le gesta in modo crudo condannando il suo operato. Ma il corpus della pellicola è una vera e propria fiera di atrocità: un cadavere di donna su un lettino con l’utero squarciato, arti e mammelle amputate e sparse su bianche lenzuola, impiccagioni a suon di  musica ed esperimenti con un veleno che scioglie gli organi… e un crudo massacro finale che ricorda l’assalto della polizia in ‘Fragole e sangue’…. i nazi ammazzano i prigionieri che imperterriti continuano a cantare. Ma c’è spazio anche per lo sleazy più sboccato: un cadavere congelato riportato in vita dalle cure sessuali di “Uno splendido esemplare di prostituta trovata nell’angiporto di Marsiglia”, ma anche i capezzoli di una splendida Sonia Viviani che si svegliano a vista sotto le stimolazioni salivari della kapò Ria de Simone.

 

Una scena di KZ9 lager di sterminio di Bruno Mattei

Mattei tra l’altro non era neppure al primo film del filone Nazisploitation, pochi mesi prima aveva firmato Casa privata per le SS, accolto tiepidamente all’uscita è diventato un cult negli Stati Uniti, dove circola l’unica versione in DVD attualmente disponibile.

 

Un’altra delle prime ristampe di Nocturno riguardò Lager ssadist kastrat kommandatur di Sergio Garrone, regista che firmò anche un altro film dei primi 12: SS Lager 5 l’inferno delle donne, due film girati in pratica contemporaneamente ebbero gran successo nelle sale europee di quegli anni. La scena cult del primo film è un espianto di testicoli, ispirato a ciò che già si era visto nella trilogia archetipo del genere, parlo dei tre film dedicati a Ilsa, la belva della SS, pellicole canadesi della prima metà degli anni ’70.

 

Si perché se il genere ha trovato radici in Italia non è nel bal paese che è nato. Il primo film ascrivibile al filone Nazisploitation è senza dubbio Camp 7: lager femminile, dell’americano Lee Frost, anno 1969. Il canadese Ilsa, la belva delle SS di Don Edmonds risale invece al 1974. L’eroina negativa interpretata dalla popputa Dyanne Thorne sarà protagonista del sequel  Ilsa, la belva del deserto, nel 1976. Trasportata in un ipotetico stato sudamericano sarà la Greta di Greta, Haus ohne Männer, conosciuto in Italia come Greta la donna bestia, del 1976 e firmato Jess Franco.

 

Dyanne Thorne protagonista di Ilsa la belva delle SS

Ma il biennio 1976/1977 sarà una fiera naziporno italiana. Luigi Batzella firma La bestia in calore e Kaput Lager – Gli ultimi giorni delle SS , Cesare Canevari il delirante L’ultima orgia del III Reich, famoso per la presenza di una giovanissima, nudissima e torturatissima Daniela Poggi, a seguire arriva Rino di Silvestro che realizza Le deportate della sezione speciale SS, Lorenzo Gicca Palli l’introvabile Liebes Lager, di cui si dice circolino solo foto e locandine, Fabio De Agostini Le lunghe notti della Gestapo, Sergio Garrone oltre al già citato firma anche SS Lager 5: L’inferno delle donne, Mario Caiano per finire La svastica nel ventre. Poi di fatto il genere si estingue.

Daniela Poggi protagonista de L'ultima orgia del III reich

 

Ci sono alcuni collegamenti però che vale la pena di ricordare. Innanzitutto vale la pena di recuperare e vedere la versione comica dei film nazi, sto parlando di Zio Adolfo in arte Fùhrer, film del 1978 con Adriano Celentano firmato da Castellano & Pipolo.  Nella delirante pellicola un doppio e trasformista Celentano interpreta due fratelli: un pazzo colonnello delle SS e un pacifista che cerca di attentare alla vita di Hitler. Un film, oggi si direbbe, alla Zelig di Woody Allen, peccato sia stato girato prima del capolavoro del regista americano. Il film, grazie all’uso del materiale di repertorio, anticipa anche il filone dei mockumentary, i finti documentari oggi di moda. In più la memorabile roulette russa finale anticipa di parecchio quella de Il Cacciatore di Micael Cimmino, sottovalutato ma da ripescare.

 

Naturalmente non potevano mancare le versioni più hard che violente, almeno due pellicole le ha realizzate Aristide Massacesi, con il soprannome di  Joe D’Amato, titoli come: Saloon Kiss, Le bambole del Fuhrer e K Z 9. La casa cinematografica americana trash Troma di Loyd Kaufmann ha ripreso lo spirito del Nazisploitation in diverse pellicole. Su tutte citeremo Surf nazi must die ma sopratutto Maniac nurse find extasy, film del 1994. La storia è ambientata in una sperduta clinica di campagna dove delle sadiche infermiere passano il tempo in efferate pratiche. Dal cannibalismo al sadomasochismo… A guidare il gruppo la folle Ilsa (un chiaro omaggio all’ eroina di Ilsa la belva delle SS, e la sua vice Greta, omaggio al film citato di Jess Franco.

 

Una scena di Maniac nurse find extasy

 

Abbiamo detto che i capostipiti del filone sono film americano della fine degli anni ’60. Ma quei film a loro volta si ispiravano a film Italiani dell’inizio degli anni ’60.  Il film che probabilmente ha dato il via al genere è Mondo cane del 1961 di Gualtiero Jacopetti. Un documentario che assembla a casaccio episodi violenti e vojeristici, animali ammazzati violentemente, le pescatrici di perle a seno nudo, ubriachi che vomitano ad Amburgo e fucilazioni (vere) in Africa…. e via di amenità varie. Il tutto condito da una voce fuoricampo ipocrita didascalica e opportunamente sgradevole. Il film generò due seguiti, Mondo cane 2 e Mondo candido, sempre di Jacopetti è l’aberrante Africa addio con violente scene che oggi verrebbero catalogate come snuff movie.

  •  IL CASO ORTESE

 

A questo florilegio di perle andrebbe iscritto anche il film da cui siamo partiti, Sergente Cesso di Salvatore Ortese, un film del 1972 che potrebbe davvero essere il capostipite del naziporno all’Italiana. Ma chi è Salvatore Ortese. Riportiamo la scheda che si trova nel romanzo La casa del Sonno di Coe.

 

 “Salvatore Ortese (1913-1975) Regista Italiano lavorò a partire dalla metà degli anni ’30 come montatore e doppiatore; si dice che abbia collaborato con Rossellini alla sceneggiatura di Luciano Serra Pilota (1938). Durante la guerra diresse svariati documentari di breve durata, per poi fare il suo debutto alla regia con Il costo della pesca (1947) film che assieme a Roma città aperta di Rossellini e Sciuscia di De Sica figura tra le opere più matura del neorealismo. I suoi film degli anni ’50 tra cui Paese senza pietà e Morte per fame testimoniano della sua inalterata fedeltà ai canoni del movimento surrealista… l’unico film a colori di quel periodo è E’ la vita che dovette essere girato una seconda volta perché il finale fu ritenuto esageratamente pessimista. (Vi si narra di una madre che per curare il figlio schizofrenico si da alla prostituzione… alla fine lavora come domestica per una facoltosa coppia di Firenze. Quando ha raggranellato il denaro necessario perde tutto e subisce un grottesco incidente con un aspirapolvere perdendo entrambe le gambe). L’ultimo film di Ortese non è mai stato proiettato in pubblico. La pellicola a quanto si dice è uno spietato e raccapricciante atto d’accusa alla gerarchia militare e rappresenta un inno alla degradazione del genere umano. Sergente Cesso (1972) non riuscì a trovare un distributore. Un critico che assistette ad una visione usci dopo dieci minuti dichiarando che “Ortese andrebbe abbattuto come le bestie impazzite”.

 

I riferimenti della scheda sono tutti esatti solo che Salvatore Ortese non esiste. Si tratta di una invenzione di pura letteratura di Jonatan Coe che durante tutto lo svolgimento del libro sparge a piene mani decine di riferimenti al cinema italiano, film, registi anni attori. Per un attimo cercando e ricostruendo ho creduto potesse essere ispirato a Goffredo Alessandrini, regista vicino al regime fascista che firmò il già citato Luciano Serra Pilota. O magari ancora il giornalista Fulvio Palmeri, anche lui cosceneggiatore del film del 1938. Ma non è così. Ortese non esiste. Cercando con Google a suo nome si ottengono 158 mila risultati, il primo è l’articolo padre di questo presente sul mio vecchio blog.

 

Coe non ne parla quasi mai. Ma ho trovato un’intervista su un altro blog Splider (Blakmarket). E visto che anche lui è destinato a scomparire mi pare giusto riportare quella domanda e risposta perché non si perda nell’oblio:

 

L’intervistatore domandava: capita spesso, con i suoi libri, che la realtà sconfini nella finzione letteraria. Tanto da depistare il lettore, come nel caso di Salvatore Ortese, il fantomatico regista siciliano neo-realista de “La casa del sonno” che in realtà non esiste e di cui molti lettori hanno controllato l’esistenza…

Coe risponde: Lo scopo principale dell’autore è quello di giocare con le aspettative dei lettori, che sono come dei pesci all’esca che vengono stuzzicati nel modo più piacevole possibile, di modo che il lettore venga continuamente messo in stato di intrigo e di curiosità, che è esattamente il meccanismo grazie al quale il lettore  va avanti a leggere.

 

Ultima curiosità. Alla lista dei film del filone su Wikipedia qualcuno ha aggiunto un film che dovrebbe essere uscito quest’anno dal delirante titolo Pane amore ed SS il regista è un fantomatico A. Bancary De Camp. Non ci sono tracce del regista e del film se non in quella pagina. Mi sa tanto di geniale fake. Ma forse è solo il nuovo mistero su cui indagare in questa infinita storia.