Cinema – Lo zombi filosofico

 

Questo è il testo della lezione che ho tenuto al Caffà filosofico di Crema lo scorso 12 settembre.

 

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L’idea di questa serata è nata nelle lunghe chiacchierate fatte in un bel luogo che adesso non c’è più, il salottino di una libreria e casa editrice dove spesso e volentieri si è parlato anche di cinema. Lunghe digressioni e discussioni che mi hanno fatto passare per un esperto, uno che la sa lunga in campo cinematografico. In realtà dopo anni di militanza da cinema d’essai da almeno un decennio mi sono dato solo al cinema di serie B. Ma ugualmente gli amici Marco e Tiziano mi hanno proposto di iniziare a pensare ad una serata su cinema e filosofia. E ho accettato volentieri…

A questo punto mi sono chiesto che tipo di proposta avrei potuto portare in questo luogo.

Non sono un letterato, non sono un critico cinematografico, in fondo neppure un cinefilo nel senso stretto del termine e soprattutto non sono un filosofo e neppure uno studente di filosofia. Cosa avrei potuto raccontare a questo uditorio abituato a un certo tipo di proposte rimanendo nell’ambito di un progetto di spessore ma che non snaturasse la mia ricerca cinematografica nella cinematografia di serie B?

La filosofia, come il cinema, come qualsiasi forma d’arte espressiva sono entrati nella mia vita nel corso degli anni come invasione concessa e consapevole della mia coscienza e conoscenza.

Proprio quella coscienza, che in una delle mie peregrinazioni, spesso notturne, alla ricerca di informazioni nel mondo della rete, scopro essere uno dei più grossi misteri attorno al quale ruotano parecchie speculazioni filosofiche.

Alcuni anni fa ho iniziato ad interessarmi di body-art, quella branca dell’arte tanto affascinante quanto controversa che prevede l’utilizzo del corpo come mezzo espressivo, a costo del dolore, del sangue, della mutilazione e addirittura in casi davvero estremi, della morte.

Legato a questo interesse mi sono autoprodotto un libro che ha messo assieme quella che è stata la mia ricerca all’interno di questa particolare forma di arte. Una ricerca che mi ha portato a scoprire personaggi disparati ed ugualmente affascinanti

Quello che ho scoperto in questo studio mi ha portato a fare un blitz in una delle correnti filosofiche del ‘900, quella che racchiude il concetto espresso da Gilles Deleuze e Felix Guattari nei trattati Antiedipo e  Millepiani.

Li ho letti. C’è tanto di incomprensibile per uno come me, ma anche concetti a cui ero già arrivato da solo per altre strade.

Tra le altre cose in questi volumi si ipotizza filosoficamente l’esistenza del CsO, il corpo senz’organi. Un’entità che filosoficamente viene espressa nel 1969 dai due francesi ma ha radici ben più profonde, precisamente nel Teatro della crudeltà di Antonin Artaud che ne parla per la prima volta nel dramma radiofonico del 1947 Per farla finita con il giudizio di Dio.

Il Corpo senz’organi, nella mia ricerca personale, porta con se anche un’altra scoperta, il concetto legato alla figura filosofica delle Macchine desideranti, in breve un meccanismo per cui tutti siamo o soggetto o oggetto di un desiderio. E l’assieme soggetto ed oggetto, con il suo flusso di desideri ed emozioni, forma una Macchina desiderante.
Scopro che tutto questo è al centro di una lunga discussione che è iniziata negli anni ’70 e che ancora adesso non è conclusa. E anzi ha preso altre strade, complicatissime a cui cerco di avvicinarmi, come per il concetto di Rizoma, per una ricerca perfomance per l’università di Bari che poi non andrà in porto. E meno male. Ma ugualmente mi porta a realizzare una installazione internet, una roba artigianale ai tempi dei primi blog, si parla di quasi 10 anni fa.

Una parentesi sul concetto di Rizoma, la parola ha derivazione botanica, e definisce la capacità di una pianta di crescere per altre vie quando si trova in condizioni sfavorevoli. Deleuze e Guattari la adottano proprio come concetto centrale della stesura del Millepiani, che, si perdoni il gioco di parole, si delinea non lineare e senza punti di ingresso od uscita. La concezione rizomatica del pensiero viene così contrapposta a quella filosofica classica che è più gerarchica. Il pensiero rizomatico, invece, è in grado di stabilire connessioni che producano pensiero in qualsiasi luogo ed  in qualsiasi direzione.

Insomma una cosa complicatissima. Infatti se provate a chiedete ad altri che si sono avvicinati a questa discussione di darvene una definizione secca faranno, se si tratta di veri filosofi,  il percorso inverso a quello che ho fatto io ma anche loro probabilmente si perderanno nel concetto tra rizomi, body-art e sessualità deviata senza darvi davvero una risposta univoca.

Ma io non sono un filosofo ed amo semplificare fino all’osso, volare molto basso, e mi metto in testa un concetto semplice riguardo al CsO che serve alla mia ricerca: da una parte c’è il corpo reale, la carne, e dall’altra un corpo in contrapposizione, senz’organi appunto, composto dal rimosso, dall’inconscio, o meglio, secondo la definizione dei due filosofi francesi, dal desiderio.

Le Macchine desideranti sono  flussi di smanie che uniscono soggetto ed oggetto in una sola figura filosofica: una rivendicazione di libertà assoluta, volta al soddisfacimento di tutte le potenzialità umane.

Provocatoriamente e praticamente la base del pensiero occidentale.

In ultima battuta quindi il Corpo senz’organi è presente e ancora da venire, ha una forte componete masochistica, ipotizzata a Artaud e teorizzata da Deleuze, ma ha una estensione pratica in campo politico e sociale dove il sangue diventa manifesto di pensiero.

Ma qui perdo interesse per l’argomento che si fa troppo stratificato e complesso per le mie conoscenze.

Ma arrivato a questo punto scopro che più o meno quando i due filosofi francesi politicizzavano l’inconscio dall’altra parte del mondo, in Australia, nasceva David Chalmers. Un ragazzotto, un capellone che pare un metallaro, che fa il matematico di mestiere  e che si da alla filosofia riprendendo teorie abbozzate qua e la anni prima. Soprattutto ribalta di visuale  il pensiero del CsO, inventandosi un nuovo metodo per affrontare il dilemma coscienza: i problemi facili e quello difficile.

L’Australiano che fa, mette da una parte la fisica e dall’altra la psicofisica, sempre per farla semplice semplice, volare basso. Ci racconta che noi siamo sottoposti ogni giorno ad una serie di stimoli fisici. Processi biologici di semplice interpretazione scientifica (i problemi semplici) che il nostro cervello processa e comprende grazie a delle leggi fisiche inopinabili.

Ora facciamo un esempio. La luce ed i colori. Lo spettro di colori percepibili ad occhio umano si pone tra i 400 e i 790 terahertz, la frequenza minima udibile dall’orecchio umano come suono è di 20 hertz. La scoperta delle vibrazioni fatta da Heinrich Rudolf Hertz pone suoni e luce nel campo dell’elettromagnetismo. Quindi quando tutti noi vediamo un colore o sentiamo un suono il nostro cervello processa delle vibrazioni. Non è difficile no? E solo una serie di leggi fisiche!

Ma il problema difficile è come diavolo succede che una frequenza di luce diventa un colore che percepiamo e che ci emoziona, una vibrazione un discorso che cambia la storia o che ci annoia? Cioè come passiamo dal vivere meccanico legato ai processi chimico/fisici ad una esperienza cosciente e quindi al possesso di una coscienza?

Chalmers si inventa un paradosso che ci avvicina all’argomento di stasera, e che rientra in pieno nelle mie svariate ossessioni: cioè teorizza che biologicamente e fisicamente in questo mondo potrebbero esistere gli zombi. Cioè esseri fisici del tutto sovrapponibili a noi ma privi di coscienza.

In altre parole esseri che reagiscono ad uno stimolo fisico in maniera identica a noi ma non ne sono coscienti. I processi neuronali del loro cervello sono identici ai nostri ma non diventano esperienze personali da catalogare sotto la voce personalità e percezione cosciente. Per citare Gaber, cosa che adoro fare, non hanno una casella per tutto, un posto nella mente dove catalogare le esperienze e renderle coscienza.

Ad un analisi autoptica del corpo di uno zombi senza coscienza non risulterebbe nessuna differenza rispetto ad un essere umano senziente e pensante.
Gli zombi, come del resto anche i filosofi, non sanno affrontare quindi il problema difficile, quello che Chalmers descrive in un saggio come: “la questione di come i processi fisici nel cervello diano luogo all’esperienza soggettiva. Un enigma che coinvolge l’aspetto interiore del pensiero e della percezione, ergo come il soggetto sente le cose”.

I colori sono solo frequenze di luce, il suono di uno strumento una vibrazione, il dolore un processo neuronale.

E’ molto interessante a tal riguardo il cosiddetto paradosso di Mary.

Mary è una neuro-scienziata del XXII secolo che è nata e che ha vissuto per tutta la vita in una stanza bianca e nera. Ha passato la sua vita a studiare teoricamente i colori. Ne conosce perfettamente la scienza ed il sistema, i processi fisici, ma non sa che effetto fa sull’inconscio un rosso acceso, un verde rilassante… Come vivrà l’esperienza cosciente di vedere un colore quando uscirà dalla stanza? Non si sa, il paradosso non lo spiega….

Ma torniamo al concetto di zombi ed iniziamo ad affiancare alla filosofia il costume, la storia e poi il cinema.

Zombi non è una parola che si è inventato George Romero ma si tratta di un antico temine che ha origini ad Haiti, si tratta di una vicenda legata al Vudù. Nelle credenze di quella popolazione i sacerdoti bokor sarebbero in grado di catturare una parte dell’anima di una persona, la coscienza appunto (e giriamo sempre attorno allo stesso punto), producendo una letargia vigile nei soggetti che può durare per anni.

Qui sarebbe bello aprire una parentesi sulle teorie del medico e filosofo tedesco del ‘700 Franz Anton Mesmer, uno che ha teorizzato il magnetismo della coscienza come cura delle malattie, insomma uno che voleva spiegare con un problema facile il problema difficile. Mesmerizzato infatti è un termine che si potrebbe quasi sovrapporre a zombizzato.
Ma qui più che buttarsi in un giro filosofico in stile montagne russe io che volo basso vi rimando ai numeri 7 e 57 di Dylan Dog La zona del crepuscolo e Ritorno al crepuscolo. Ambientati in un paese dove nessuno nasce e nessuno muore, ergo un luogo dove non esiste una coscienza civile ne tantomeno sociale.

Ma parlavamo di zombi haitiani, nel ‘900 si sono fatti studi neurali su sostanze neuro-tossiche di origine animale, come la tetradotossina , insomma il veleno estratto dal pesce palla. Si tratta di una sostanza in grado di indurre la catatonia. Gli schiavi delle piantagioni di canna da zucchero di Haiti si dice che fossero privati di volontà, quindi di coscienza, tramite queste sostanze.

Il dittatore di allora dell’isola, François Duvalier, aveva una speciale squadra di poliziotti, i Tonton Macoutes, che disponevano di queste droghe per piegare la coscienza dei ribelli. E vedete che la parola coscienza torna in ogni salsa ed è il vero punto centrale del discorso

Ma siamo al 1932 anno in cui la letteratura cinematografica si è appropriata trasformandola dell’assenza di coscienza degli zombi haitiani. In tanti senza coscienza può divenire una sorta di massa critica ultrapotente

Che  poi è lo stesso concetto dell’uno pensante per milioni di esseri dei Borg di Star Treck, o ancora l’assenza di coscienza degli Ultracorpi di Don Siegel, essenza cinematografica nata in piena guerra fredda, il primo Invasion of body snaches esce nel 1956, per simboleggiare la massificazione dell’altro.

Una massificazione che asciughi soprattutto la coscienza politica.

Ad un analisi superficiale si potrebbe pensare che tutto sia solo una bieca scusa per mettere in scena filmacci splatter e sanguinolenti, ma non è così visto che spesso in queste pellicole esiste una sottotraccia di forte critica sociale.

Ma prima degli Ultracorpi inizia a svilupparsi il concetto dei morti viventi, come detto a partire dal 1932. Un concetto che prende il via con white zombie, film di quell’anno ambientato proprio ad Haiti con un Bela Lugosi in grandissima forma.

Adesso arriviamo agli zombi come la massa li conosce, qualche anno dopo, negli anni ‘60, George Romero prende di peso il tono apocalittico del romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda, e mette in scena per sei volte, tra il 1968 ed il 2009, la fine dell’umanità a base di zombi senza coscienza. Il primo abbozzo di critica sociale di un mondo privato di pensiero critico si ritrova già nel capostipite del 1968 La notte dei morti viventi, ma è in Zombi del 1978 che Romero si fa profeta ed ipotizza una società dei consumi che riesce ad andare oltre la coscienza individuale instillando nella massa a-critica, una coscienza collettiva inestinguibile, anche da morti viventi. La gran parte della pellicola è infatti ambientata in un centro commerciale preso d’assalto dagli zombi.

La critica al sistema prosegue e si alza di tono con Il giorno degli zombi del 1985 in cui il mondo militarizzato è messo alla berlina dal dualismo scientifico tra il dottor Logan, che cerca di rieducare gli zombi, quantomeno ad una vita basata solo sui problemi facili ma dignitosa, e il capitano Rhodes che preferisce rieducare gli zombi ad esercito senza gerarchie interne, quindi invincibile.

Romero ribalta addirittura la visuale in La terra dei morti viventi del 2005 dove gli umani sono i cattivi che cercano di mantenere schiavizzati gli zombie che stanno prendendo coscienza di avere una forza e soprattutto una dignità e rivendicano un posto dove vivere la loro vita, che non è più non vita ma una nuova condizione della coscienza. In questo film si arriva a tifare per gli zombi seguendone con affetto il processo di crescita.

Il percorso critico di Romero si completa con Le cronache dei morti viventi del 2007 e Survival of the Dead del 2009, in cui viene preso di mira il mondo dell’informazione, nuovo punto cardine della nostra società.

Un mondo che viene utilizzato come critica sociale mostrando come vengono poste le questioni cruciali della nostra vita, come spesso vengono depotenziate e nascoste dall’informazione, insomma una riflessione sociologica a base di carne e sangue. Una parabola sulla società dell’informazione sanguinolenta che mostra i mostri e nasconde le crisi, basta vedere i casi di cronaca Italiani, da Cogne ad Avetrana, con il pubblico massa zombizzata assetata di sangue.

Ma dalla comparsa di Romero nel mondo del cinema l’assioma zombie uguale massa sociale critica è diventato un archetipo utilizzato in centinaia di film disparati, anche demenziali, in cui la figura del morto vivente diventa un vero e proprio standard espressivo per i problemi del momento.

•    Le malattie cruccio del XXI secolo in  Resident evil con il Virus T che inibisce il cervello dei colpiti lasciando solo gli stimoli basilari che ci permettono di assecondare i bisogni primari, in questo caso l’esigenza di mangiare, eccoci ancora al problema difficile rimosso;
•    l’ambiente violentato di 28 giorni dopo e 28 settimane dopo con gli esperimenti sugli animali che danno vita all’apocalisse,
•    l’apatia dell’Alba dei morti dementi con i protagonisti che per mezzo film non si rendono conto di quello che succede attorno a loro assorbiti dall’informazione distorta e tranquillizzante dei media e dalle loro vite. Vedendo quello che accade oggi con la crisi mondiale oscurata da molti media ed i messaggi tranquillizzanti si può dire che ancora una volta gli zombi sono stati profetici

Addirittura il filone demenziale dei film di zombi ha spesso nascosti sottomessaggi di critica. In Plagua Zombie zona mutante, film argentino uscito mentre nel paese sudamericano iniziava la madre di tutte le crisi, la società si rivolge ad un ex wrestler per combattere la piaga mentre la resistenza ruba coltelli d’argento dalle case per un piano demenziale di rinascita.

In Sexy hospital zombie e Zombie stripper sono il sesso e l’amore a venire zombizzati rendendo attraente essere morto vivente.

Recentemente lo zombie è stato stilizzato ed è diventato intrattenimento e commedia giovanile americana, con tanto di messaggi positivi su amicizia, amore, famiglia e salute. E’ il caso dello splendido Zombieland

Ma esistono davvero gli zombi? Se si mette in Google la chiave: “esistenza zombie” si trovano quasi 300 mila risultati. Qualcuno ha trovato il modo di camparci sulla probabilità che esistano. Max Brooks, il figlio di Mel Brooks, ha scritto un Manuale per sopravvivere agli zombi che è molto più serio di quanto possa sembrare

Un paio di anni fa è arrivato il serissimo studio di alcuni simpatici buontemponi, i matematici delle università canadesi di Ottawa e di Carleton che sostengono che in caso di un attacco zombi l’umanità uscirebbe sconfitta in breve tempo. Il dottor Robert Smith, professore presso l’Imperial College di Londra racconta: . «Abbiamo ricreato l’attacco degli zombie creando un modello basato sulle nozioni biologiche immaginate nei film di genere. Una volta creato il modello osserviamo il risultato con soluzioni numeriche. Quando si cerca di mappare una malattia sconosciuta normalmente si cerca di capire che sta succedendo, si va per approssimazione. Poi si torna indietro e si riprova.  L’unica speranza per l’umanità, in caso di attacco degli zombie, è di colpire i non-morti «duramente e spesso È fondamentale – conclude lo studio pubblicato nel saggio Infectious Diseases Modelling Research Progress – che il problema degli zombie sia risolto in fretta altrimenti ci troveremmo tutti nei guai». Inutile quindi catturare i non-morti e cercare una cura: l’unica soluzione è non mostrare nessuna pietà. In caso di guerra le “colombe” si mettano dunque il cuore in pace: ne va della vita”.

Ma perché si diventa zombi-fan?
Spesso, come si accennava prima, si tende a pensare che gli appassionati di questo genere ricerchino nei film e nei loro contenuti storie militaresche di eroi con le palle che fanno saltare teste su teste ai non morti, e poi via sangue, mutilazioni, i civili militarizzati e via così con le emozioni e gli istinti basilari… Genericamente si pensa così di molto del filone horror….

Nulla di più sbagliato quindi. I film di zombi ritrasmettono indietro il senso di impotenza e disperazione, spesso legato al momento sociale.

Infatti guarda caso la loro uscita è spesso concentrata nei momenti di maggior crisi mondiale, vedrete se nei prossimi mesi non ci sarà un film alto sul tema, un film da festival. Spesso le maggiori riflessioni si ritrovano in scene apparentemente minori, non gli squartamenti che i sociologi credono parte centrale e morbosa dell’interesse degli appassionati, ciò che attira gli appassionati in realtà è altro. Faccio due esempi legati a questo ragionamento citando due scene  di film di Romero. In una c’è un soldato della Swat, cazzuto e muscoloso, che gioca a golf sul tetto del centro commerciale abbandonato, solo ed impotente mentre attorno si vedono solo strade zeppe di zombi ciondolanti. In un’altra l’elicottero con abordo i sopravvissuti che nel finale del film sfugge ad un attacco e fugge, si ma per dove visto che il mondo è tutto coì?

E mentre gli eroi fuggono tutto attorno le luci dei grattaceli di Philadelphia si spengono una ad una…. Game over per una civiltà sbagliata.

Spesso la figura dello zombi è finita anche nella musica, ci starebbe quasi un’altra serata…. Ci sono decine di canzoni a tema, la più famosa forse è Zombi dei Cranberries, ma per chiudere questa serata voglio farvene sentire una che di certo non conoscete, molto ironica ed intelligente.

Si intitola Zombi ed è del gruppo punk rock varesino dei Pay….