Parte il “Preludio”, un uomo cammina per le vie di una Milano lividissima. Un altro impacchetta centinaia di migliaia di dollari, 300 mila, nella carta del Corriere della sera. Li lascia in piazza Duomo. C’è la nebbia. Una donna ritira il pacco. L’uomo telefona: “La consegna è stata fatta”, “Avviso gli altri”, gli rispondono dall’altro capo del telefono. Cinque squilli, tutto apposto. La consegna è andata a buon fine. Un uomo sale sulla linea rossa della metropolitana, si siede a fianco di una donna e prende il pacco, carta del Corriere della sera, al suo fianco. All’uscita del metrò lo consegna al primo uomo. Due uomini aprono il pacco ma dentro ci sono solo cartacce. Partono delle spedizioni punitive. Una gola tagliata dal barbiere, una donna e due uomini picchiati a sangue e poi fatti saltare con dei candelotti di dinamite. Il “Preludio” scritto da Luis Bacalov e suonato dagli Osanna si alza forte sopra le esplosioni. Titoli di testa: un film di Fernando di Leo, con Gastone Moschin e Barbara Bouchet. “Milano calibro 9”. Immagini su una Milano sempre più cianotica che sembra quasi in bianco e nero. Duomo dal basso, stazione centrale, il Pirellone tra lo smog.
Come avrete capito questa è solo la descrizione dei primi minuti di “Milano calibro 9”, forse il migliore poliziottesco all’Italiana. Sicuramente la migliore interpretazione di Gastone Moschin, abituato a ruoli comici, qui un cupissimo Ugo Piazza, al centro di una vicenda complessa e violentissima.
Pellicola del 1971, capostipite di un genere che in Italia spopolò tra anni ’70 e ’80. Un genere che ha dato alla luce delle cose tremende, ma anche dei capolavori, come “Milano calibro 9”. Il film porta il titolo dell’omonimo romanzo dello scrittore noir Giorgio Scerbanenco, ma nella trama c’è pochissimo di quel libro, se non l’atmosfera cupa e da pre anni di piombo di una Milano nerissima.
Gli stilemi del genere ci sono tutti: un malavitoso buono, silenzioso, un vero duro, un commissario cinicissimo, un ispettore sinistroide, un boss mafioso chiamato l’Americano (uno splendido Lionel Stander), una banda di sicicilani dal pugno e dalla pistola facile, una fatalona che fa il doppio gioco (la Bouchet), un cattivo giusto detto il Chino (Philippe Leroy). Centouno minuti che tengono incollati alla sedia dall’inizio alla fine, con una strage finale da storia del cinema per cattiveria, nonostante di sangue non se ne veda molto, e il gore a quei tempi in Italia tirava.
Lo stesso Di Leo era dopo tutto un padre del genere, visto che pochi mesi prima di “Milano calibro 9” aveva firmato “La bestia uccide a sangue freddo”, un gore violentissimo in cui riuscì a coinvolgere addirittura Klaus Kinski. Sangue, lesbismo, violenza. Una delle pellicole che Nocturno ha rieditato in vhs.
Di Leo il gusto per il nero e per la cattiveria lo aveva imparato da un maestro, Sergio Leone, visto che ha collaborato con il maestro per la stesura della sceneggiatura di film come “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più”.
Ma il regista pugliese voleva anche dirigere dei film. E alla regia ci arriva firmano una pellicola storica ma piuttosto anonima nel 1967: “Rose rosse per il Fuhrer”.
Nel 1968 firma uno dei suoi film più conosciuti e cult: “Brucia ragazzo brucia”. Il primo film intellettuale erotico della storia del cinema Italiano. Un incasso di 950 milioni, un successo. Al centro del film l’orgasmo femminile. I sessantottini adottano lo strano regista, non giovanissimo, ha già 37 anni.
Nel 1969 incontra Scerbanenco e firma “I ragazzi del massacro”. Una classe scolastica drogatissima fa secco un professore, in netto anticipo con i tempi della scuola problematica, niente da dire.
Sempre nel 1969 cerca di bissare il successo di “Brucia ragazzo brucia” con “Amarsi ancora”, mezzo flop che i distributori rieditano come “Brucia amore brucia”, per cercare un link col precedente successo.
Dell’annata d’oro 1971 abbiamo già parlato.
Nel 1972 firma “Il boss”, un tentativo di bissare “Milano calibro 9” con una visuale invertita, dalla parte del capo mafia. Riprova ancora a rieditare un film simile con “La mala ordina”, sempre 1972, una pellicola adorata da Quentin Tarantino. Nel film la starlette è la bella Sylvia Koshina, moglie del boss, trucidata dai rivali con la figlia di sette anni, Lara Wendel.
Due film anche nel 1973. “Il poliziotto è marcio”, poliziottesco su commissione, nulla di che, e “La seduzione”, una sorta di “Malizia” in salsa siciliana, melodrammone con Jenny Tamburi, che sostituì sul set Ornella Muti, ritenuta da Lisa Gastoni, che aveva delle scene di sesso saffico con questa, non adatta.
Nel 1974 tenta di fonder commedia e poliziottesco con “Colpo in canna”, coinvolgendo l’astro nascente Lino Banfi. Ma il film non va né di qua né di la.
Due film per il 1975. “Gli amici di Nick Hezard”, che risente troppo dei film americano con il delinquente buono; e con “Città sconvolta: caccia ai rapitori”, altro film su ordinazione che Di Leo non ha mai amato troppo.
Tre anni di stop e nel 1978 torna con “Diamanti sporchi di sangue”, una vendetta tra gangster ma senza sgarro. Un errore. Non male. Nel ’78 firma anche “Avere vent’anni”, uno stracult dove di fatto inventa la base che poi ritroveremo nientemeno che in Thelma e Louise”, due donne Lilli Carati e Gloria Guida, e una storia di sesso e sangue su strada.
Torna a due film all’anno anche nel 1979 con “I padroni della città”, il film noir che fa paragonare spesso Di Leo a Don Siegel. Con elementi nientemeno che di Fassbinder, un altro capolavoro nero.
Sempre nel ’79 torna al gore con “Vacanze per un massacro”, stupri, soldi, fucilate e sangue. Molto sangue..
Siamo quasi al capolinea. Anche se Di Leo morirà nel 2003, di fatto la sua carriera finisce con gli anni ’70.
Solo altri due film, negli anni ’80. Nel 1984 “Razza violenta”, un avventuroso pessimo.
Nel 1985 gira “Killer Vs. Killer”, mai uscito perché, come raccontava lo stesso Di Leo: “Quel figlio di gentildonna del produttore non ha pagato i contributi cosi il film non ha avuto la nazionalità”.
Per i fans di Di Leo un capolavoro. Una curiosità nel film recita Alberto Colajanni, che popi diventerà il sosia di Dalema per il Bagaglino.
ma ke figa sovrumana era la bouchet