CINEMA – “per fare cinema serve solo una cinepresa e libertà” (è morto Jess Franco)

Credevamo che fosse eterno. La notizia arriva tramite il sito www.sensacine.com, il regista cult spagnolo Jesus Franco, lo zio Jess, se ne è andato il 2 aprile del 2013 in un ospedale di Malaga, dove era ricoverato a seguito di un ictus. Aveva 83 anni e aveva appena festeggiato il ritorno di un suo film sul grande schermo, dopo dieci e passa anni di uscite solo in Dvd per il mercato dell’home video.

Jess Franco in una recente immagine

L’opera che chiude la sua mastodontica filmografia, in cui anche per gli appassionati è difficile districarsi, si parla di oltre 200 film quasi tutti girati in versioni differenti (anche molto differenti l’una dall’altra) per una esagerazione di almeno 1000, si mille, film da vedere, si intitola Al Pereira vs. the Alligator woman, è stata interamente girata nella sua Malaga, dove da qualche anno si era ritirato, ed era uscito nelle sale in Spagna il 22 marzo scorso. Il film era stato presentato l’11 ottobre del 2012 al Sitget festival e faceva parte del percorso di rivalutazione del grande regista spagnolo. Un grande lavoro che è al di la dall’essere completato e che adesso, speriamo, inizierà in maniera seria con il recupero e la riproposizione dei sui capolavori exploitation, vere perle di psichedelica cinematografica girate spesso con scarsi o nulli mezzi economici, con attori di serie Z, con difficoltà di produzione e per la maggior parte irreperibili, o ristampati in maniera completamente casuale da piccole case produttrici di mezzo mondo.

 

Lo zio Jess sul set dell’ultimo film

Si perché il culto dello zio Jess è sotterraneo e vitale ma continua a rimanere una cosa per pochi iniziati al cinema di genere. In Italia per iniziare a farsi un’idea della sua infinita produzione si possono recuperare i due numeri monografici speciali che la rivista di settore Nocturno ha dedicato al regista alcuni anni fa, o ancora  il bel libro Jess Franco – tutto sul suo cinema spiazzante da Orson Welles alla pornografia, edito dalla libreria Profondo Rosso. Un ottimo inizio per iniziare a muoversi nell’infinita filmografia del regista che viene troppo spesso ricordato solamente per Vampyros Lesbos, l’horror erotico del 1971 in cui Franco ebbe la geniale intuizione dell’unione tra vampirismo e sesso, dove la morte sopraggiunge per orgasmo e non per morso sanguinario. Un intuizione che svilupperà ulteriormente due anni dopo con La comptesse noire, il film che racconta la vicenda vampiresca erotica della contessa Irina von Karlstein, interpretata dalla sua musa di sempre Lina Romay, diventata poi sua moglie, protagonista di oltre 100 pellicole e fedele al maestro fino alla morte avvenuta nel febbraio del 2012.

 

Lina Romay, moglie e musa dello zio Jess

Ma la filmografia enorme dello zio Jess non si può circoscrivere a questi due film, tra i suoi più noti. Nel corso della sua storia ha avuto intuizioni geniali che erano li, da vedere da proporre. Come quando con Doriana Grey riprese il mito del doppio del romanzo di Oscar Wilde ribaltandolo però sulla sessualità femminile, il vero fulcro di tutta la sua cinematografia, dove una delle gemelle si masturba repressa e a godere è la gemella internata. Oppure ancora come nel pazzo El ojete de Lulu del 1985, dove la voce narrante e il protagonista era l’ano della protagonista. Intuizioni che in qualsiasi altro sarebbero diventate caciarone, folli, improponibili, e che in lui erano invece il vero fulcro di una cinematografia che aveva uno zenith, la superiorità femminile, e un nadir, la demenza maschile.

 

Anche nei film degli esordi, che in fondo erano solo classici horror degli anni ’50, c’era già il tocco poetico psichedelico che ha fatto del regista iberico il più grande mito underground di tutti i tempi, e probabilmente il regista più prolifico mai esistito. La professionalità di Franco, comunque, non è mai stata messa in discussione. Le poche volte che ha avuto dei budget decenti e ha lavorato con attori che non fossero del tutto analfabeti del cinema ha partorito film di tutto rispetto come  Il Conte Dracula con Klaus Kinsky e Christopher Lee. Tanto da meritarsi il rispetto e la fiducia da parte di un vero grande del cinema, Orson Welles. E’ stato, infatti, Jess Franco a portare a termine il capolavoro incompiuto del regista di Quarto Potere, quell Don Chishiotte che impegno per 40 anni di follia e ossessione Welles.

 

Un fotogramma dal Don Chishiotte

Perche Jess Franco non era un mestierante del cinema, come l’amato Bruno Mattei. La definizione che da di lui Jose Manuel Serrano Cueto, nel libro succitato edito dalla Profondo Rosso, è perfetta:

 

Jesus Franco è un autore sperimentale e, contrariamente a quello che lui stesso pensa, è un artista piu che un semplice narratore di storie, le quali per inciso. Dio solito sono inferiori alla sua proposta estetica. Forse mi sbaglio ma a Franco interessa il contenuto solo nella misura in cui lo subordina alla forma, senza la quale non avrebbe ragione di essere. Una delle sue inquadrature sghembe esprime più di qualsiasi convenzionalismo filmico. Per questo il regista elegia tanto le possibilità delle macchine da presa digitali che gli consentono una maggiore libertà creativa non essendo soggette alla schiavitù della celluloide”.

 

Uno che avrebbe potuto fare grandi cose ma che, rispondendo alla domanda Hai sempre fatto quello che hai voluto, in una lunga intervista corpo centrale del libro della Profondo Rosso, risponde:

 

No, no… mi sono mancati solo più mezzi. Questo forse è stato il mio unico ostacolo, ma come ho già detto tante volte parafrasando Luis Garcia Berlanga: per fare cine serve solo una macchina da presa e libertà- Sono stato aiuto regista di Berlanga e ho vissuto tutta al sua sofferta esperienza con i produttori italiani che volevano gestire le cose in un modo diverso dal suo. Ricordo un giorno in cui Paolo Moffa venne alle riprese, vide l’ultima proiezione di quello che si era fatto e andò verso Berlanga dicendogli che era uno stronzo e un figlio di puttana. Siccome Berlanga ha carattere gli disse semplicemente: Si io sarò uno stronzo ma tu levati di li che non mi fai vedere il provino. Bene alla fine di questo dialogo con Moffa, quando oramai eravamo soli, Berlanga mi disse che era il nostro lavoro tutto una merda e che era terribile essere subordinati a dei tizi che maneggiavano, manipolavano e fanno di te tutto quello che gli pare. E allora mi disse quella frase che per fare del buon cinema servono soli due cose: una macchina da presa e la libertà”

 

Libertà che lo stesso Franco spesso non ha avuto nella sua carriera. Costretto a infiniti montaggi diversi dei suoi film per adattarli ad ogni infimo mercato. Inserendo scene hard per la Germania, cambiando i riferimenti erotici per la Spagna dell’altro Franco, allungando le parti parlate per l’Italia, cambiando musiche per la Francia. Così che di ogni film, come abbiamo detto, esistono versioni su versioni e anche i franco mani più accaniti non conoscono tutto il corpo di un regista che può essere considerato il Frank Zappa della celluloide.

 

Un fotogramma di Greta la donna bestia

Rincorrerlo può diventare una ossessione che prosciuga il tempo alla ricerca di un oscuro rip di quel film fatto da un appassionato quella notte in cui passo censurato per una tv slovena, poi sottotitolato in inglese e arricchito di inserti trovati abbandonati in uno studio. Adesso che se ne è andato forse qualcuno si deciderà a mettere ordine. Noi che per anni abbiamo inseguito le sue tracce ci sentiremo un po’ violentati dall’esportone di turno che verrà a dirci quanto era grande questo uomo, morto il 2 aprile del 2013 a 83 anni. E si che noi lo sapevamo, da anni, ma ci hanno sempre dato dei pazzi.