Comunicazione integrata in campagna elettorale: chi ha vinto, chi ha perso

Quello che è successo durante la campagna elettorale per le elezioni del 24 e 25 febbraio del 2013 con buona probabilità sarà ricordato nei libri di storia, e di sociologia, degli anni avvenire. Questa tornata elettorale indubbiamente ha avuto una particolarità: si è giocata su diversi fronti a livello di comunicazione tanto che i diversi schieramenti, e il loro elettorato, si stupiscono che gli avversari utilizzando mezzi di comunicazione diversi dai propri hanno ottenuto risultati eclatanti.

 

La parola d’ordine è sembrata essere: tutti in rete appassionatamente. E’ un difetto classico italiano questo. Si cerca di utilizzare il mezzo più nuovo, quello più cool, senza conoscerne realmente la portata e la profondità, oltre che i meccanismi, e poi ci si lamenta che non ha riportato i risultati sperati. In questo è sintomatica la scelta di campo di Silvio Berlusconi e del Pdl. La rete in campagna elettorale l’ha completamente ignorata per dedicarsi completamente alla presenza assidua in televisione, mezzo giudicato obsoleto ma evidentemente vicino al suo elettorato, che è quello over 60, composto, dicono le statistiche, di pensionati, di donne, di casalinghe. Le promesse e i sorrisi reiterati dispensati dai salotti televisivi funzionano e hanno presa su questo pubblico. E i dati delle urne lo hanno dimostrato.

 

Prendiamo solamente la promessa sulla restituzione dell’Imu. In rete è stata una dei tormentoni più divertenti che hanno preso piede, con la pagina di Facebook Berlusconi restituisce cose finita anche sui media nazionali per il numero impressionante di adesioni. Ma è ovvio che queste migliaia di internauti, che hanno gli anticorpi per comprendere certe boutade, e il pubblico dei salotti televisivi non collidono neppure in minima parte. La battuta del portale Spinoza che il calo elettorale del Pdl dal 2008 ad oggi è dovuto al fatto che molti anziani sono morti è macabra ma non è poi così distante dalla realtà.

 

Berlusconi poi dopo le elezioni ha affidato il messaggio distensivo, l’amo rivolto al Pd per la formazione del governissimo, a Facebook. Un caso che non sia andato da Vespa o dalla D’Urso? No, certo che no. Quel messaggio infatti non era rivolto al suo elettorato ma ad altri.

 

Il caso più emblematico di errore clamoroso di comunicazione è indubbiamente quello del Pd. La formazione che è arrivata prima alle elezioni, pur perdendole, si trova a livello comunicativo nelle “terre di mezzo”. In campagna elettorale ha messo in atto un terribile pastrocchio tra mezzi nuovi e mezzi vecchi, prediligendo poi le armate della carta stampata a supporto. Anche qui bisogna partire da una battuta, il Crozza/Berlusconi che considera che viene attaccato dalle grandi e paludate testate straniere e dice: “coglioni, chi capisce l’inglese? In quanti le leggono? E in quanti leggono Chi?”. Perfettamente calzante.

 

Su 60 milioni di cittadini in Italia in quanti conoscono sufficientemente l’Inglese tanto da capire un articolo di fondo del Financial Times? Quanti al di fuori delle solite élite radical chic capiscono certi riferimenti? Sono quelli barricati nei salotti culturali della sinistra, tanto bene stigmatizzati nel profetico film: Le ombre rosse, firmato nel 2009 da Francesco Citto Maselli, che si svolge in un centro sociale giovanile dove cercano di entrare degli intellettuali che non capiscono cosa realmente succede alla società, tanto è vero che Maselli aveva inizialmente scelto il titolo di lavoro Anni Luce spiegando che serviva: “per indicare la distanza abissale che si è creata tra politici di sinistra e realtà”. Soprattutto l’élite, la nomenclatura di certa sinistra è ancora rinchiusa nella sua torre di cristallo a pensare che il popolino non meriti approfondimento sociologico e che solo da loro risieda la verità infusa, salvo poi per questo sbagliare un rigore a porta vuota.

 

Il Pd soprattutto ha puntato su una comunicazione ibrida. Sotto tono sia in tv che sui nuovi social media, che non sono decisamente utilizzati come dovrebbero essere, qualche caso sporadico a parte (tipo Matteo Renzi). Andare in televisione a combattere con le promesse farlocche di Berlusconi parlando di austerità, senza promesse elettorali, essendo terribilmente realisti al limite del catastrofico è stato un suicidio. Lo stesso Monti, che anch’esso ha sbagliato completamente tattica dandosi anima e corpo ad un guru americano che lo ha snaturato, in televisione ha fatto promesse antitetiche a quello che stava facendo al governo.

 

Sull’altro versante il Pd ha utilizzato la rete poco e male. Pagine Facebook e profili Twitter istituzionali, dove è evidente che c’è uno staff che cura i comunicati rimandano solo una immagine fredda e poco social frendly da vecchio modo di concepire la rete: cioè una stramberia nerd noiosa e incomprensibile ma necessaria. Per questo affidata a qualcuno che fino a ieri si era occupato di media classici e che in questa nuova marea si trova assolutamente spiazzato.

 

Il fallimento di Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia è sintomatico. Basti fare un esempio parlando dei candidati del movimento nella circoscrizione Lombardia 3. Un movimento che ha voluto presentarsi come civico ma che in realtà mascherando il tentativo ultimo di salvezza di alcuni vecchi marpioni della politica, e per questo sgamato dagli anticorpi della rete, tra parentesi ignorando di possedere un brand conosciuto e votato come quello della Falce e martello.

 

Dicevemo di Lombardia 3, qui il movimento ha paracadutato due esimi sconosciuti: un giornalista 63enne bolognese  e una giovane calabrese, ben lontani dal territorio cremonese quindi. Il primo è un classico esempio di vecchio standard culturale sinistroide: laureato in Scienze Politiche all’Università di Bologna, giornalista, redattore del programma televisivo Samarcanda e poi del Tg3, capo redattore a Rainews24 che dichiara di essere fondatore di una scuola giornalistica che insegna ad utilizzare i nuovi media. Stessa cosa per la Falcone. Salvo poi controllare lo scarso utilizzo e lo scarso appeal che i due hanno con quello che è stato il social network emergente: Twitter appunto. Solito problema: cultura sinistroide impiantata dove non funziona.

 

Micro esempi che portano a macro esempi. Clamoroso quello dell’account Senatore Monti. Il professore da algido bocconiano rappresentato come un robot ha cercato una improbabile metamorfosi fatta di presenziate televisive, battute ironiche agghiaccianti e la presenza in rete con un account piuttosto utilizzato ma decisamente male. Monti si è affidato ad un guru della comunicazione americano che ha confuso gli Usa con l’Italia. Non è possibile pianificare a tavolino lo sbarco su alcuni mezzi sociali. La rete, come detto, si è fatta nel corso degli anni parecchi anticorpi e coglie al volo le sfumature tra chi ha un vero interesse nel mezzo sociale e chi ne sta facendo mero uso politico dell’ultima ora. Tanto è vero che nel periodo dello sbarco della classe politica italiana in Twitter un hasthag che divenne utilizzatissimo in quel periodo fu: #ioerosutwitterquando, a significare la difesa del territorio da parte del popolo nerd della rete allergico alle mode.

 

L’assunto della filosofia sociale è che ci si pone senza filtri, per cui più umani ma anche più esposti alle bordate di critica. Una delle prime cose da sapere è che non è possibile presentarsi n maniera istituzionale ne tanto meno mentire. Un secondo dopo aver sbagliato una valutazione o mentito su un fatto ci saranno decine, centinaia, di internauti pronti a dire dove e come abbiamo sbagliato e a rendere virale la figuraccia.

 

C’è una via per l’utilizzo corretto? Si. Una ricetta da applicare? No.

 

Risposte antitetiche per dire che è davvero difficile trovare il modo di mixare in maniera sensata l’utilizzo dei vari mezzi di comunicazione che oggi vengono messi a disposizione.

 

La formazione vincitrice della tornata elettorale, il Movimento 5 Stelle, utilizza in toto i mezzi sociali di internet. Per cui per una buona parte degli italiano è un corpo completamente estraneo. Anche per la scelta reiterata di stare lontano dalla televisione, vista come un modo per sporcarsi con le vecchie logiche comunicative. Scelta vincente? Si e no.

 

Così facendo si rischia di ribaltare emulandolo il sistema tanto criticato della casta. Essere tra la gente e non casta, stare lontani dai salotti televisivi, parlare poco ai giornali ed essere autoimmuni fa del M5S una casta della rete. Avvicinabile solo se si possiedono i mezzi tecnici e conoscitivi. Un modo che andava benissimo fino a che la realtà era di base, nonostante una forte conformazione leaderistica che spesso ha fatto urlare certa sinistra alla deriva autoritaria. Quando sei una forza di governo votata da un quarto degli elettori devi essere potabile.

 

Il giorno dopo alla proclamazione dei risultati si è scatenata una crisi per la presunta ingovernabilità a seguito di un post sul blog di Grillo. Post e blog: due parole che il popolo del Pdl non conosce e non comprende in una sola frase. Evitando considerazioni sul fatto che il leader non eletto cerchi di dettare la linea a 109 deputati e 54 senatori eletti, se così fosse altro che deriva autoritaria da uomo forte, altro che dittatura della rete, si può considerare che il M5S ha saputo di certo a livello comunicativo spostare i media tradizionali sul proprio campo di battaglia.

 

Lo abbiamo già visto. L’appeal della rete ha catturato tutti, tranne il caimano che ha fondato il suo impero sulla tv. Infatti uno dei fenomeni più discussi della campagna elettorale è stato il Live Tweet, che paradossalmente rivitalizza il mezzo più sclerotizzato: la tv appunto. L’abitudine di seguire dibattiti, confronti, eventi televisivi politici e commentarli tutti assieme su Twitter come se si fosse un vecchio gruppo di ascolto, e il giorno dopo i giornali a riportare le battute e i commenti più virali. Crossover tra media? Forse, o forse no, solo nuovo modo di fruire vecchie risorse.

 

In questo panorama mutevole è difficile ipotizzare quale sarà la campagna elettorale comunicativa del domani. Dopotutto in Lombardia qualcuno ha considerato che il candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli abbia perso per la scarsa presenza fisica nei territori rurali. Il corpo del leader dopotutto deve essere esposto anche fisicamente. Nelle città e nelle aree metropolitane ha conquistato la fiducia. Così laddove ha potuto presentarsi e farsi toccare. Nei territori isolati dove si vota Lega come se fosse una religione invece no. Non sono serviti gli scandali di casa Bossi e del Celeste a svuotare il serbatoio di votanti. Manco sono arrivati qui certi scandali. L’eco di queste cose è solo sui giornali “della sinistra” che nelle valli bergamasche non vendono come a Milano.

 

Quante platee ci sono allora a cui rivolgersi per fare una comunicazione integrata efficiente? Ne abbiamo individuate già 4. Quella televisiva, quella della rete, quella dei giornali e quella delle piazze. Piazze che rimangono fondamentali. Mentre il Pd chiudeva la campagna elettorale in un teatro con l’élite il M5S faceva fare al leader un bagno di folla in piazza San Giovanni. Le foto di quell’evento sono particolari. In piazza non sventolano bandiere ma cellulari per immortalare e rilanciare in diretta l’evento in rete.

 

Dopotutto la rete è una piazza all’ennesima potenza, solo virtualizzata. Allora possiamo pensare di fare a meno in toto in futuro dei filtri dei media tradizionali, tv e giornali, a favore dell’accoppiata piazza/piazza (reale e virtuale?) Siamo in un mondo dove tutti hanno a disposizione i mezzi tecnici per documentare le notizie mentre accadono in tempo reale e smentire l’informazione tradizionale. I casi della primavera araba sono sintomatici. Ci fanno dire che forse potrebbe non esistere un giornalismo professionale?

 

Io credo di no. Serve sempre comunque qualcuno preparato che sia in grado di filtrare la marea di informazioni prodotta dall’utenza, senza dubbio oggi più viva e consapevole. Rimane irrisolta la domanda iniziale; quale ricetta per la comunicazione? Io direi stare in ascolto delle istanze di base e sapere esserci prima che i riflettori vengono puntati sul prossimo mezzo trainante. Difficile? Si indubbio.

Una risposta a “Comunicazione integrata in campagna elettorale: chi ha vinto, chi ha perso”

  1. Ottima analisi. sul 5 stelle aggiungerei un punto che riprendo da Freccero, grillo è stato molto abile a sfruttare le tv locali, in modo di entrare in contatto con chi fruisce del mezzo televisivo, apparendo comunque più vicino alla gente di chi ha frequentato attivamente network più “prestigiosi”.

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