Ipotesi di futuri desideri

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E poi infilando le cuffie all’iPod aveva sfiorato lo schermo e chissà come era partita quella vecchia canzone che dice circa che “il futuro è un ipotesi, il futuro è una scusa per ripensarci poi”. L’aveva lasciata scorrere. Si era una scusa per ripensarci. Solo pochi minuti prima era seduto di fronte ala sconosciuta che era in fondo molto conosciuta.

Si, d’accordo, mancava qualche elemento prima di quel pomeriggio. Ma gli elementi e gli indizi sono fatti per essere raccolti. Lei aveva lascato che di elementi ne raccogliesse più che poteva. Visivi, olfattivi, tattili. Tutti quei sensi che il magico mondo dei network sociali tendono a fa passare in secondo piano. Un tavolino nel bar di un centro commerciale, il giorno dopo le feste di Natale, il mondo che scorre veloce per rimettere in dispensa quello che si è mangiato nel triduo natalizio. Il modo e mondo migliore per essere soli tra la gente.

Così aveva dovuto dare fondo a tutto il suo repertorio di storie per non perdere il filo di fronte alla fisicità di Donata. Una fisicità normale, da donna 45enne di famiglia, solare, tranquilla e per questo lucente di attrazione da lasciare senza fiato. Un pantalone, una giacca a vento, una felpa aperta su una camicia scollata il giusto. Da attirare inevitabilmente i suoi occhi sul solco del seno da cui occhieggiava un piccolo neo che navigava sulla pelle bianca.

Ah ma ne ho altri”, aveva detto lei ridendo e notando lo sguardo di lui che scendeva inevitabilmente dagli occhi grandi di un bruno ebano trasparente al seno. “Invidio tuo marito”, e non era una frase un po’ grezza di circostanza. Ma la verità. Ma in quel momento era contento di essere lì a quel tavolino di bar da centro commerciale nel nulla della folla. Per riprendere il filo lo sguardo risaliva sulla china del seno fino al bel sorriso aperto e di nuovo agli occhi profondi e poi schizzava un attimo via nel vuoto per pescare dal database delle memoria il giusto proseguo alla storia che stava raccontando che altrimenti si sarebbe persa nei rivoli delle pulsioni. Se fosse stato un film, o un racconto erotico, la scena dopo lo avrebbe visto immergersi in quel seno.

Ma i film non raccontano mai i passaggi intermedi. Anche volendo come si passa dal tavolino di un bar di un centro commerciale ad una splendida asettica stanza dove dare sfogo alla fantasia? Già il futuro, “il futuro una voglia non si sa se sincera”. Qui l’autore sbaglia. Le voglie sono sempre sincere. Confessare la sua fantasia erotica a Donata era stato il passo successivo.

Certo aveva parlato in modo imperfetto e senza definire la protagonista, “mi immergerei in un seno come il tuo e ci giocherei… e poi basta credo”. Magari avrebbe potuto togliere quel “come il tuo” che risultava come una pezza messa ad una voglia senza che nessuno l’avesse chiesta. La sconosciuta oramai conosciuta, Donata, era li appoggiata al tavolino, si lasciava guardare senza nessuna remore. Anche il lieve profumo dolce sottile che aveva percepito sporgendosi un poco in avanti era sembrato una sorta di dono e concessione alla sua raccolta di dati e informazioni per conoscerla.

Quasi per elargire un lungo ingordo sguardo aveva mostrato il bordo della camicetta che aveva bruciacchiato nelle operazioni di stiratura, le donne sanno essere benevole con gli uomini confusi dal loro profumo e dalle loro forme. Poi si erano alzati, tre baci sulle guance di prassi, un lieve abbraccio un cui aveva affondato una mano nella giacca a vento per sentire la consistenza dei fianchi. “Sono tutta tonda”, aveva detto lei ridendo, consapevole che oramai aveva “vinto” su tutti i fronti, e aveva aperto un po’ la giacca a vento per mostrare quelle che chiamava “gambotte” ma chi in realtà completavano in maniera perfetta il suo corpo. Poi era stato un semplice “ciao”.

Mai stato bravo nelle uscite ad effetto. Però non era davvero riuscito a nascondere il sorriso che era sbucato sul volto. E il futuro? Ma chi se ne frega.