Libri (miei) – Carne sanguinolenta

ristorante

-dall’introduzione di Body(art) jazz, il mio nuovo libro pronto tra una settimana-





Dopo la musica e il cinema – le due arti più vendute, usufruite e commercializzate – risultava difficile cercare una forma artistica che chiudesse la trilogia di questi piccoli libri personali di narrazioni reali. La musica e il cinema sono parte della mia esistenza da sempre: Zombi rock e Cannibal blues sono stati, per la mia storia di passioni artistiche, percorsi naturali da portare avanti. Dare una forma ad anni di ascolti e visioni, quasi fare un punto per passare oltre. L’incontro con la body art è invece molto più recente, ma non del tutto casuale. La componente base è la stessa che ha guidato i percorsi tra le morti del rock e i film di serie B del cinema: lo stomaco. Ad essa va aggiunta la perspicacia di una libraia barese, la persona che firma la prefazione, che ha intuito che la body art sarebbe stata deflagrante nel mio percorso personale.

 

I vecchi redattori dei quotidiani hanno ben presente la regola delle tre S che i giornali applicano per vendere più copie: sangue, sesso e soldi. Togliendo la terza S possiamo dire che l’attrazione verso il binomio sessualità e corpo, Eros e Thanatos, è da sempre al centro delle ossessioni di fruitori d’arte e artisti. Indubbio anche se nessuno interrogato direttamente risponderà di si. Ma tutte le arti e i modi di pensare si riconducono qui: sempre. Lo stesso ragionamento fatto per i morti musicali e per il cinema horror più bieco.

 

E allora ecco la body art che racchiude in un solo concetto visivo tutti gli espedienti che le altre arti sono costrette a declinare come componenti aggiuntive per rendere più sapido il piatto. Il corpo – denudato – è fatto oggetto di azioni che ne sconvolgono l’equilibrio. Un concentrato di sadomasochismo che Artaud aveva sfiorato nel Teatro della crudeltà, che Deleuze e Guattari avevano ipotizzato nella teoria del Corpo senz’organi e che i performer di body art ci mostrano senza nessuna paura da 30 anni, violentemente e con diverse combinazioni.

 

A primo acchito si fugge. Eppure ci si sente attratti dal sangue che cola dalle braccia di Franko B, dal viso modificato dalle operazioni-performance di Orlan, dallo sfiorare la morte per inerzia della Abramovic, dal quasi ricercarla di Burden, dalle innaturali tette enormi di Geness P-Orridge. Si fugge eppure si torna a curiosare, si cerca di approfondire. Da guida in questo mondo frammentario, i testi di Francesca Alfano Miglietti, meglio conosciuta come FAM: mondo fatto di folli geni che hanno vinto Biennali di Venezia, divenendo influenti architetti e maître à penser del secolo breve, del secolo delle ideologie che hanno cercato di asfaltare sotto le colate di sangue dei loro corpi.

 

Come per gli altri due libri anche qui non c’è pretesa enciclopedica. Le storie sono romanzate, reimpastate e viste dai miei occhi, sotto la lente del mio modo di intendere, attingendo direttamente alla mia vita, al mio modo di vivere la body art. Uno stato febbrile dell’anima che cerca di liberarsi percorrendo strade impercorribili, spesso autolesionistiche. Brevi flash che spesso appuntano solo su un istante della vita di un artista, solo un solleticare la curiosità per spingere il lettore a ricerche altre, ad una propria strada.