Racconti – Il ragazzo storto se ne è andato (Vic Chesnutt)

 

 



Si lo so, ho sempre avuto la faccia di quello che se ne andrà da un momento all’altro. Di quello che se ne sta li seduto su una sedia, nel bel mezzo di una festa mesta, e all’improvviso si alza e se ne va. Già, ma io non posso neppure alzarmi e andarmene, attraversare la stanza e lascare dietro di me solo lascia del sudore acido che massacra il corpo nei giorni caldi e noiosi.

 

La Georgia non è quel profondo sud dell’Alabama, non è le spiagge delle Florida, non è le distillerie del Tennessee. L’America mitica è tutto attorno. La Georgia ha una gemella più famosa nell’Est Europa, la mia città natale, Athens, ha una gemella più famosa in Grecia. Mi sento anche io una replica mal riuscita di qualcun altro. Devo alzarmi e andarmene da questo quadretto di felice inutilità che è la città. Devo andarmene.

 

Al 285 di Washington Street c’è il 40 Watt club. Sul palco stasera c’è un ragazzo strano, ha una faccia storta, ha una chitarra storta, una carrozzella storta e canta melodie storte. Il giro di chitarra di “Cobbham Blues” è di una semplicità che ti demolisce il cuore. La birra al 40 Watt fa schifo, ma le canzoni del ragazzo storto cancellano anche il saporaccio di birra gelida e leggera americana. Un America che sfugge a ogni catalogazione da guida turistica.

 

Gli occhi del ragazzo storto sbucano da sotto un cappello assurdo che lo fa sembrare ancora più sul punto di andarsene. Si guarda in giro, quasi sperso mentre canta di Giuda e di ieri, di domani e di oggi.

 

Me lo dicono in tanti e mi fanno male, molto male. Sono nato nel posto sbagliato e nell’anno sbagliato. Nascere orfano a Zebulon nel 1964… Meno di un anno prima a mille chilometri da qui a Newport, Dylan svoltava con una chitarra elettrica in mano. Io dovrò aspettare che ad una rockstar vada di traverso una birra al 40 Watt e si accorga di me.

 

Devo alzarmi ed andarmene. Me ne stavo andando quella notte del 1983. Non ricordo dove. Non ricordo come. La bottiglia di Jim Bean rimbalzava tra i miei piedi. E poi i piedi e le gambe non le sentivo più. La macchina distrutta e la mia vita ancora più storta di quanto era già da 19 anni.

 

Dovrò aspettare altri 26 anni per alzarmi ed andarmene. Come nel peggiore dei film drammatici la notte di Natale dell’ultimo degli anni zero. Gli anni della musica che perde di peso, che scivola via dalla chitarra e che non trova più un vinile su cui gracchiare ma finisce in una stringa di dati. Tanti 0 e 1 al posto dei microsolchi. Si sono nato nell’anno sbagliato e nel posto sbagliato. Voglio andarmene.

 

Dopo alcuni tentativi andati a vuoto negli anni ’90 la notte di Natale del 2009 Vic Chesnutt ha messo a segno il suo piano. Se ne è andato, suicidio. Dodici dischi in 19 anni di carriera. Una carriera iniziata per caso una notte della fine degli anni ’80 quando Michel Stipe dei Rem sentì le strazianti note del ragazzo paraplegico al 40 Watt club di Athens. Vic era su una sedia a rotelle dal 1983, un incidente stradale a seguito di una sbronza colossale.

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