D’inverno la odiavo.
Davvero non riuscivo a sopportarla.
Corinne, già il nome, infagottata nel grembiulone da lavoro, col giubbettino smanicato per sopportare il freddo dell’azienda, era una donnina petulante. Faceva battute che nessuno capiva, e solo lei ci rideva. Una risatina sguaiata, un po’ acidognola, dissonante che metteva in risalto i denti storti e zeppi di tartaro.
Per non parlare dei capelli. Rossicci, di un rosso strano, scolorito. Con la frangetta ad arco che arrivava fin sopra gli occhietti, a fessura, una frangetta che continuava a spostare con le dita finendo che già di primo mattino i capelli erano unti di grasso delle dita e del lavoro, una cosa davvero inguardabile.
Insisteva spesso nel venire a parlare. Dei suoi problemi banali, soliti, normali di tutti i giorni. I suoceri petulanti, il marito depresso, i pochi soldi, i figli che non arrivavano. Noiosissima. Non ho mai capito perché insistesse a raccontarmi le sue cose. Con il suo tono neutro, la voce piatta.
Io toglievo giusto un auricolare delle cuffiette e rispondevo automaticamente si, no, non so, davvero. A caso.
Finché non si decideva ad andarsene per la sua strada.
D’inverno la odiavo.
Poi arrivava l’estate.
In azienda già dai primi giorni di maggio si suda dannatamente, come un maiale scannato, direbbe uno scrittore che sto leggendo ora e che pensa, chissà perché, che un maiale scannato sudi tanto.
Via il grembiulone infagottante, via i pantaloni di pile, via il giubbetto smanicato.
Sotto quella pila di stracci Corinne nascondeva più o meno un corpo così: quarta abbondante di reggiseno, un seno strano, un po’ basso sul ventre, ma di un sodo compatto innaturale. Un culo che faceva arricciare la maglietta di cotone sulla schiena lasciando la montagnetta scoperta nascosta solo da un pantalone aderente in acrilico nero.
D’estate le sbavavo dietro.
Improvvisamente tutti i suoi problemi di famiglia diventavano assolutamente da sapere. Se non veniva lei a raccontarmeli andavo io al suo banco pur di avvicinarmi.
Si perché Corinne sudava, un sudore dolciastro, pungente, fermormonico in maniera incredibile.
I pensieri nella mia testa erano confusi e deliranti d’estate. Tipo di abbassarle i pantaloni e inginocchiarmi alle sue spalle a leccarle il sedere mentre lavorava.
Ogni tanto le passavo una mano sulla schiena fino a giungere al limite del sedere. Mon faceva una piega, anzi si sporgeva verso la mano premendo con la schiena sulle dita.
Spesso dopo essere passato da lei finivo sprangato in bagno, a fare, si a fare quello che ogni uomo fa per smaltire la tensione, fisica, emotiva, sessuale.
Piano l’estate scivolava via.
Man mano che il caldo aumentava le toccatine diminuivano. Saliva l’insofferenza all’afa. L’idea di possedere Corinne rimaneva, ma la forza per farlo non c’era. Insomma meglio una birra al fresco….
Poi dopo agosto arrivava settembre, ottobre, iniziava il freddo.
Giubbetti, grembiuloni, pantaloni sformati di pile….
Mi stava davvero sulle palle Corinne, d’inverno…