Racconti – I dischi di Anna

dischi anna

Quando mi hanno dato la notizia della tua morte stavo cercando di comporre una canzone elettronica sulla Playstation con un vecchio gioco che si chiamava Music. Il tumore al cervello ti aveva stroncata nel giro di due mesi.

Ti chiamavi Anna, avevi un bel po’ di anni più di me. Ti conoscevo da anni, si da quando ero piccolino, era la zia giovanile del mio migliore amico. Quella che scatena le fantasie da film di bassa categoria. Eri bella, lo so è banale dirlo, ed eri dolce con noi piccolini che ti giravamo attorno.

 

Eri diventata quasi un amica quando sono cresciuto. Di certo destavi la mia curiosità.

 

La notizia della tua morte la attendevo da settimane oramai, ma ugualmente mi ha fatto male. Non ci si abitua mai alla morte, neppure se sai che è ovvia per una malattia, neppure se sai che deve arrivare e hai tempo per accettarla…

 

“E’ morta Anna”, mi dice secca mia madre entrando in camera.

 

Mollo giù il controller della Playstation. Sullo schermo c’è una lunga fila di pezzetti colorati di suoni che formano una canzone. La faccio partire ed è tremendamente triste. La chiamo subito con il tuo nome. Se ne sta ancora sepolta in una memory card della vecchia consolle. Illeggibile, peccato. Mi sarebbe piaciuto recuperarla e magari cercare di suonarla con la chitarra.

La musica è sempre stato un elemento di legame verso di te. Molto prima che tu morissi avevo fatto una razzia tra i tuoi vecchi 45 giri. Quelli che erano abbandonati a casa di tua madre. La nonna del mio migliore amico. Ho passato parecchie ore della mia infanzia in quella vecchia casa.

Un pomeriggio in cui l’amico si era assopito io mi ritrovai nel vecchio studio che si trovava a destra dell’ingresso. Quello chiuso a chiave dove tuo fratello andava a studiare inglese e che conteneva le tue cose. Quelle che erano rimaste nella casa di tua madre quando eri andata a vivere da sola.

 

Tra queste cose due valigette colme di vecchi dischi a 45 giri. Metterci le mani per me era stato di un piacere feticistico.

 

Li ho qui davanti sulla mia scrivania adesso che sto scrivendo di te, adesso che ti sto ricordando.

 

Su quasi ogni copertina c’è la tua calligrafia. Magari solo il nome, oppure una data, forse quella in cui hai comprato il vinile, forse quella in cui l’hai ascoltato con qualcuno. Non eri sposata. Avevi convissuto con un collega di lavoro che era morto prima di te.

Date, il tuo nome, oppure la traduzione del titolo del disco, su uno una lunga scritta stenografata.

Il 45 giri di “Non si muore per amore” dei Profeti. Tutto lo spazio giallastro libero tra i volti della band e il titolo del disco è vergato di segni fitti. Chissà cosa hai nascosto su quella copertina che ancora è qui..

E poi quello più recente… Un singolo storico di George Harrison “My sweet lord/Isn’t it a pity”. La data è vicinissima a quella in cui sono nato io, marzo 1971. Sopra i titoli hai scritto la traduzione. “mio dolce signore, non è pietà”. Letta cosi sembra una frase, un affermazione di una donna davanti al suo signore…

 

Ma sono credo, sono solo mie fantasie. Certo poi il 45 di Paul Mc Cartney vede la traduzione solo di un titolo “Oh woman oh why”, oh donna oh perché, hai scritto. Aggiungendo alla fine un punto di domanda che nel titolo non c’è.

 

L’altro titolo, “Another day”, molto più semplice, non l’hai tradotto. Perché?

 

Poi il 45 giri di Lucio Battisti che porta come titolo il tuo nome. Hai sottolineato la data, 18/11/1970. Quel disco è uscito nell’ottobre del 1970. Credo che quella sia la data in cui l’hai comprato. I solchi del vinile di Anna sono consumati. Quelli del lato A Emozioni nuovi.

Alzo gli occhi. Sopra il letto due dei tuoi dischi. Li ho messi in cornice il giorno in cui sei morta.

Sono “Satisfaction” dei Rolling Stones e “Come together” dei Beatles.

Sopra a quello dei Rolling Stones c’è una data e il nome di una città.

 

Roma, 24/4/1967

 

Quanto è bella la libertà, e quanto e bella Roma. Respiro forte l’aria di aprile e me ne sto in coda alla fila della mia classe. La gita annuale del liceo.

A 17 anni trovarsi in questa città è bellissimo. Nello zainetto ho un sacchetto che scricchiola. Dentro c’è il disco nuovo dei Rolling Stones. Tutte le mie amiche sono innamorate di Mick Jagger. Io no, io adoro Keith. E adoro Emanuele.

Lui è rimasto a Crema. Il disco lo ascolteremo assieme nella saletta studio a casa. Infilerò il disco nella valigetta. E’ il mio primo disco. Nella valigetta ci sono quelli di mio fratello Giovanni. I suoi cosi di inglese su 45 giri… Ma adesso metteremo anche i miei.

 

Emanuele adora la musica e mi fa battere il cuore.

 

Adoro la musica. Il giorno in cui sei morta ho appoggiato sul piatto “Sing sing Barbara”. Ho sempre amato la copertina di quel disco di quelli che ho ereditato dalle tue valigette.

Due mani tese su sfondo nero, in manette. Il retro è fatto a mo di telegramma.

“Saar Milano”, recita, “Provenienza Sing Sing, febbraio 1971”, un mese prima della mia nascita.

 

“Vogliamo arrestare vostra attenzione su Sing Sing Barbara, stop, Inoltrati fonogrammi et busta per pronta identificazione, stop, disco 45 attivamente ricercato un tutti gli stati, stop, matricola m 1090 stereo registrato at Map City, stop, fuga segnalata direzione hir parade, stop. Ricercati anche il cantante Laurent il produttore Lou Bugio et Gang the mardi gras, stop, iniziata caccia al disco presso tutti i negozi et grandi magazzini stop”.

 

Pazzesco. Un misconosciuto cantante francese che spopolò per una sola stagione da noi, e proprio con sto pezzo… Chi lo avrebbe mai scoperto se non avessi qui tra le mani i dischi di Anna?

 

Che freddo l’inverno del 1971. Meglio… Una buona scusa per rimanere tappato in camera con Anna ad ascoltare i nostri 45 giri. Oggi arriverà nel primo pomeriggio. Stamattina a scuola mi ha detto che ieri ha comprato un nuovo disco, un certo Laurent, dice che farà successo. Mai sentito. Però non mi importa. Accetto anche la sua mania per Anna di Lucio Battisti. Sono 4 mesi che me la fa sentire… La capisco. E’ come se Mina avesse scritto una canzone che si intitola Emanuele. Forse anche io la ascolterei compulsivamente.

Arriverà con la sua valigetta. In testa c’è il disco che ha comprato a Roma 4 anni fa. Ci siamo conosciuti in classe al liceo nel ’67. Un attimo prima che il mondo fosse sconvolto dal vento del cambiamento del 1968.

Io e Anna la summer of love, il sessantotto, il sessantanove, li abbiamo fatti sprangati in casa a fare l’amore. Adesso abbiamo 21 anni e credo che ci sposeremo prima della fine dell’anno…

 

Questo 1971 rimarrà un anno da ricordare nella mia vita.

 

Il giorno che sono nato io nasceva un pilota di formula uno, usciva un oscuro disco metal degli Scorpions, si giocavano partite del 5 nazioni di rugby, il vento della rivolta si era placato. Era il 27 marzo del 1971. Anna aveva 21 anni e un amore strozzato in gola.

Quel giorno l’amarezza entrava nei suoi occhi dolci. Il mix del suo sguardo l’avrei visto solo 13 anni più tardi. Nel 1983. Io a 13 anni cominciavo a sentire le prime pulsioni, lei a 34 era una splendida triste ragazza ancora sola. Come sarà sola in quell’autunno del 1998. Non ancora cinquantenne, con uno sguardo che non potrò mai dimenticare, affogato negli ultimi mesi nella demenza del tumore al cervello che ne ha cancellato la tristezza, ma non la dolcezza.

In quindici anni di conoscenza ho passato con Anna molto più tempo di quanto sia normale per un rapporto zia del migliore amico, amichetto del nipote. Anna è sempre stata una delle poche persone a chiamarmi con il mio nome per intero.

 

Al lavoro mi chiamano Lele, in casa Manu, gli amici Mandel… Lei sussurrava un Emanuele, poggiandomi la mano sulla testa, quando ero un puffo tredicenne e lei una donna di 34 anni, sulle spalle quando ero un omino di 22 anni e lei una splendida 45 enne….

 

Quanti numeri in queste ultime frasi…

 

Mi gira la testa per i mille numero che mi scorrono dentro.  Questo dicembre del 1967 ha un sapore dolce e strano. Io ed Emanuele abbiamo seguito da distante e con attenzione quello che succedeva in america. L’hanno chiamata Summer of love, l’estate dell’amore. In un certo senso lo è stato anche per me.

Stamattina ho comperato il 45 giro con la canzone che è diventata un po’ l’inno di questo 1967: “San Francisco” di Scott McKenzie. Sul retro copertina c’è la traduzione in Italiano del testo.

Se andrai a San Francisco assicurati di avere dei fiori nei capelli, c’è scritto, tutto coloro che verranno durante l’estate troveranno un amore. Il l’amore l’ho trovato prima, nella tarda primavera.

 

Attraverso tutta la nazione ci sono strane vibrazioni, sono le emozioni della gente. Che belle parole, mi fanno volare.

 

E volo quando sto tra le braccia di Emanuele. Non vedo l’ora di fagli sentire il mio disco nuovo. Da quando sono tornata dalla gita a Roma ad aprile con il disco dei Rolling Stones abbiamo ascoltato musica e fatto l’amore quasi tutti i pomeriggi.

 

Ho solo 17 anni, quasi 18, e sono felice.

 

Certo che oggi le parole di quel testo fanno davvero sorridere. Tanto più che dentro la copertina di quel 45 giri non ho trovato l’inno pacchiano di Scott McKenzie ma un tremendo 45 giri di Pat Boone, un melodico inascoltabile. Non riesco ad immaginare Anna che ascolta questa musica. Non ci riesco davvero.

Non è un caso isolato quello delle copertine con dentro i 45 giri sbagliati.

 

Emanuele , mi chiama Anna, non puoi andare a casa cosi sudato.

 

Ho passato il pomeriggio a giocare a pallone con l’amico suo nipote, nel cortile della casa di sua nonna. Sono sudatissimo, è il febbraio del 1986. Ho 15 anni. Ogni volta che vedo Anna mi batte il cuore e mi scorre in sangue veloce veloce.

Credo siano gli ormoni che corrono forti forti. Ha un profumo che mi fa impazzire.

Non puoi andare a casa cosi sudato, aspetta una mezz’ora che ti asciughi, mi fa, e dicendolo mi appoggia una mano sulla spalla. Sento il suo alito profumato e l’odore della sua pelle.

 

Si.

 

Non spiaccico altre parole. Mi siedo sulla poltrona di pelle dello studio dietro la porta di ingresso. L’amico gioca col gatto, io mi assopisco al volo.

Mi risveglia Anna, non so quanto sia passato.

Ha telefonato tua mamma, mi dice, le ho detto che eri qui. Ma adesso è ora di andare a casa. Me ne sto andando anche io, se vuoi ti do un passaggio in auto.

 

Si

 

Spiaccico ancora una sola parola. Mi ritrovo in auto al suo fianco. L’amico rimane dalla nonna a mangiare. Saluto tutti.

L’abitacolo sa di lei. Nessuna delle coetanee in classe con me mi scatenavano queste emozioni dentro. A scuola non ci vado più. Lavoro già. Anzi faccio gia due lavori. In pizzeria il sabato e la domenica e alla Unident durante la settimana.

Ragazze non ne frequento, troppo timido credo. Anche se mi piacerebbe tanto sentire il calore di un abbraccio e il profilo di un seno sul petto. E se chiedessi un abbraccio ad Anna? Il solo pensiero mi fa arrossire violentemente. Lei si accorge che sono in imbarazzo, mi mette una mano su una spalla, mi dice, Tutto bene Emanuele. E dicendolo la sua voce scivola dolce sul mio nome.

 

Si

 

Non so dire altro.

Mi piace il nome Emanuele, se mai avessi un figlio lo chiamerei cosi, dice all’improvviso.

 

Si?

 

Un punto di domanda… Ma non riesco a dire altro. Però la guardo in faccia adesso. Guida e mi guarda con la coda dell’occhio.

Si, mi ricorda una persona che ho amato tanto, dice, e mi pare che gli occhi, tristi e dolci, diventino ancora più tristi.

 

Poi mi fa una strana domanda.

 

Mi dici la tua data di nascita?

 

Si, 27 marzo 1971, dico io.

 

Il sorriso si spegne.

 

Allunga la mano verso l’autoradio e alza un po’ il volume. Alla radio Lucio Dalla, 4 marzo 1943.

 

I suoi occhi adesso sono lucidi.

 

Rigiro tra le mani il 45 giri di Lucio Dalla, un altro di quelli che vengono dalle valigette di Anna. Uscito a febbraio del 1971. Sopra c’è solo il suo nome scritto con quel corsivo dolce ma un po’ nervoso. Con la a finale che si inverte e la stanghetta scende quasi dritta e la a iniziale in stampatello che sembra una h, staccata da tutto il resto. Un nome palindromo il tuo. Chissà quanti te l’hanno detto.

 

Ho sempre preferito il lato b di quel 45 giri di Lucio Dalla. Già non è che ami molto il bolognese. Anna lo sa e mi tormenta dolcemente. Comunque “Il fiume e la città” è decisamente più bella. A fine 1970 la furia rock di Anna sembrava scemata. Prima i Profeti con “non si muore per amore”, poi Lucio Dalla. E sempre sempre quel 45 di Lucio Battisti che porta il suo nome. Anche li preferisco l’altro lato, il lato A, Emozioni. Ma non lo dirò mai.

 

Meno male che i Beatles non li dimentica mai. Quante volte abbiamo fatto l’amore sul ritmo dolce di “Don let me down”, lo comprammo assieme nell’estate del 1969.

 

Dentro il 45 giri dei Beatles “Get back – Don’t let me down” non c’è il 45 giri giusto. C’è un Atlantic di Carl Holmes “Please tell me – Shout”. Chissa perchè ci sono questi scambi di copertina. Sono sicuro che c’è una spiegazione che non sia un banale disordine. Le tue valigette erano cosi ordinate e pulite quando le trovai nello studio dietro la porta d’ingresso…

 

Mi viene da piangere, forse dovrei farlo. Anzi di sicuro dovrei farlo. Lo studio dietro la porta d’ingresso non è più lo stesso senza di lui. Me ne sto qui in silenzio a guardare fuori dal finestrone che da su via Giardini. Silenzio, silenzio fuori, silenzio dentro. Non sento più la musica. Per 5 anni ogni mattina mi sono svegliata con una canzone in testa. Per 5 anni il momento più bella della settimana era andare alla Casa della musica con Emanuele a guardare i nuovi 45 giri.

Era una festa potersi permettere un acquisto.. Sono tutti qui sparsi sulla scrivania dove Giovanni studia inglese ora. Non ho nemmeno la forza di buttarli via, di romperli…

Volevo spezzarli, fare qualcosa di eclatante. Ma il ho tirati fuori dalle copertine e poi impilati uno sull’altro. Le copertine da una parte, i dischi dall’altra… Ma non mi va di farne nulla. Li lascerò qui come li ho messi oggi. Non li voglio toccare mai più.

Quando entrerà Giovani per studiare magari li riporrà, magari li scanserà. Io di certo qui non ci entrerò mai più.

 

La poltrona di pelle è ancora profumata del suo profumo, anzi del nostro. Quante volte ho sentito le sue mani correre sulla mia pelle e poi sulla pelle della poltrona. Il suo corpo addosso. Non voglio più nessun corpo addosso a me, non voglio più le mani sui miei seni, non voglio più la musica nella testa.

 

Silenzio, in una via silenziosa, buia…

 

Adoravo sedermi su quella poltrona di pelle ad ascoltare i dischi di Anna. Quante volte mi ci sono addormentato dopo i pomeriggi di gioco. Adoravo stare in quella casa. Mi piaceva si andarci per giocare con l’amico. Ma mi piaceva anche stare in quella casa, soprattutto nello studio dietro l’ingresso. Su quella poltrona, con quelle valigette di dischi sulle gambe.

Quella poltrona, quello studio, mi davano pace ma anche tristezza. Ho pianto qualche volta in quella stanzetta. Non so perché mi ci sentivo nudo.

Certe volte Anna entrava a chiamarmi perchè i miei mi cercavano. Ha sempre avuto un modo strano di stare in quella stanza. Non richiudeva dietro di se la porta. Non mi diceva nulla se me ne stavo con le valigette dei suoi 45 giri tra le mani, non guardava mai troppo in giro. Mi poggiava una mano sulla spalla e mi diceva con la sua voce dolce che era ora di andare a casa.

Alle volte si chinava verso di me. Anna portava spesso maglioni con scollo a V, credo si sia accorta mille volte dei miei goffi tentativi di infilarle lo sguardo nella scollatura, aveva delle belle tette Anna, non troppo grandi, non troppo piccole, perfette. Da ragazzina anche quando aveva quasi 50 anni..

 

Non indugiava a farsi vedere, non si ritraeva imbarazzata. Lasciava che i miei ormoni di adolescente prendessero qualche piccolo spazio, lasciava che mi arrivasse qualche scampolo della sua pelle e del suo profumo.

Fu una volta che era un pomeriggio caldo e avevamo tutti sudato che mi resi conto di una cosa. Quella poltrona dove adoravo stare aveva il suo profumo. Il suo profumo e un altro profumo indecifrabile e più nascosto rispetto al suo che conoscevo.

 

Di certo aveva un po’ anche del mio profumo. E quello di nessun altro della casa. In 20 anni che ho frequentato la casa della nonna dell’amico non ricordo di avere mai visto nessuno sedersi li. Lo facevo io, nessuno mi ha mai detto di no. Un tempo lo aveva fatto di certo Anna, e con persistenza visto che il suo profumo, una volta isolato, era forte e intenso, ora di certo non lo faceva più.

Da quando scoprii la storia del profumo sulla pelle spesso mi addormentavo con il viso reclinato sullo schienale e il naso piantato nella pelle della poltrona. L’odore di Anna è un ricordo che nel mi bagaglio di ricordi è in una posizione che non può essere scordata.

 

Quanto sei bella quando dopo che abbiamo fatto sesso ti addormenti appoggiata mezza nuda e sudata sulla poltrona dello studio dietro l’ingresso. Si fatto sesso. Non riesco più a dire l’amore. Si lo so. Solo un mese fa pensavo che tu saresti stata mia sposa, la donna della mia vita. Adesso non riesco più a pensarlo. Non riesco a pensare neppure ad un’altra donna.

Se fosse arrivata qualcun’altra sarei più tranquillo. Sarei solo un uomo che pensa di tradire la sua donna. Invece sono solo un uomo che non riesce a respirare fino in fondo. Non riesco.

Il marzo del 1971 è un mese che non voglio ricordare nella mia vita. Il primo giorno del mese Anna ha comprato il 45 giri di Gorge Harrison “My sweet lord”. Sono dieci giorni che mi chiama così, mio dolce signore. Ancora una volta io preferisco il lato b, “Isn’t it a pity”, non è pietà. E’ quella che non voglio che Anna provi verso di me.

 

Non ce la faccio davvero a pensare che provi pietà verso di me. Dio quanto è bella mentre dorme sulla poltrona. Le sfioro la pelle, della pancia del seno. Sorride e continua a dormire.

 

E’ sabato 27 marzo 1971. Un sabato di quasi inizio primavera. Nel negozio di dischi Casa della musica oggi ho preso tra le mani un 33 giri. Che strano effetto che fanno. Si intitolava “Losmone crow”, un gruppo di quelli nuovi che adesso tanti ascoltano, Scorpions.

Un sabato di quasi inizio primavera. Ma non mi va di uscire con Anna stasera, ne con nessuno. Sta per svegliarsi. Io sono pronto per uscire. Tra un po’ aprirà gli occhi e non ci sarò. Esco piano senza che nessuno mi veda. Voglio essere invisibile.

 

Harrison ha lo sguardo basso sulla copertina di quel 45 giri. Tra i dischi di Anna è quello che ha l’incisione in vinile conservata meglio. Sembra quasi che non sia mai stato ascoltato.

Le calligrafie sulla copertina del disco con la traduzione dei testi paiano diverse. Un corsivo dolce per My sweet lord, sicuramente la calligrafia di Anna e uno stampatello nervoso per Isn’t it a pity. La data scritta nell angolo a sinistra sotto il titolo e nell’unico spazio bianco della copertina è 1/3/1971. Pochi giorni prima della mia nascita.

 

Mi ha sempre attratto questa cosa. Immagino Anna chiusa nello studio dietro l’ingresso pochi giorni prima che nascessi che ascolta sto disco. Chissà se lo ascoltava da sola, con qualcuno. Chissà se si sedeva su quella poltrona a riposare e leggere.

Chissà, chissà, chissà.. Come quella canzone spagnola ripresa dai Cake, Peraphs perapsh peraphs… Chissà se Anna conosceva questa canzone. Da quando è morta mi ossessiona l’idea di che altra musica abbia ascoltato nella sua vita.

 

Sono sei mesi che è morta. Da sei mesi i suoi 45 giri sono sulla mia scrivania. Non li ho ascoltati più. Non sono andato al suo funerale e nemmeno nella camera ardente a casa sua. Non volevo vederla in quella bara e ricordarla cosi.

Negli ultimi due mesi della sua vita non ho quasi voluto avere informazioni sulla violenta decorrenza della sua malattia. Un tumore al cervello fulminante. Mi hanno detto che ha perso la ragione, che gli ultimi giorni se ne stava sotto sedativo e che continuava a ripetere il nome del suo fidanzatino del liceo. Chissà perché nella sua testa è riemersa quella storia. Forse era la persona con cui ascoltava i dischi che adesso ho qui sulla scrivania.

 

Chissà come si chiamava Chissà, chissà, chissà

Chissà che fine ha fatto. Chissà, chissà, chissà

Chissà perché si sono lasciti. Chissà, chissà, chissà

Chissà se ascoltava My sweet lord con lui. Chissà, chissà, chissà

Chissà se la calligrafia su quel disco non sia la sua. Chissà, chissà, chissà

Chissà…

 

Quando mi hanno detto che chiamava il suo nome ho sentito come una tensione fortissima nell’aria. E ho pensato al suo profumo sulla poltrona. Non ho approfondito più di tanto la cosa. Non so perché ma mi infastidiva farlo.

Non so perché mi sono sentito così legato ad Anna. Dopotutto era solo la zia dolce e un po’ sexy dell’amico di infanzia. La persona che mi metteva una mano sulle spalle per svegliarmi quando mi addormentavo e la proprietaria di una manciata di dischi che ho qui ora.

 

Non riesco a muovermi, e non riesco a pensare. Sento che attorno c’è qualcuno e ho la testa ovattata. Ora ricordo. Sono svenuta mentre cercavo di entrare a casa di mia madre. Mi hanno fatto una tac, tumore al cervello.

La cosa che mi spaventava di più al mondo, perdere il controllo della mia ragione, è avvenuta, sta avvenendo. Sento calore dentro e fuori, attorno e sulla pelle. Ma non riesco a muovermi.

Emanuele.. Vieni a trovarmi ti prego. Vieni almeno adesso. Non sei venuto più nello studio dietro l’ingresso. Da quel giorno di marzo di trent’anni fa. Mi sono svegliata mezza nuda sulla poltrona dove facevamo l’amore e tu non c’eri.

Avevi lasciato solo una biro appoggiata sulla copertina del disco di George Harrison e avevi tracciato con la tua calligrafia nervosa la traduzione del titolo del lato b del 45giri: non è pietà.

Ma io non provavo pietà per te. Credevi davvero che non avevo visto che nelle ultime settimane eri diventato apatico, staccato, depresso? Volevo starti vicino. Volevo proteggerti come tu avevi fatto con me negli anni prima. Invece tu mi prendevi, facevi l’amore con me, anzi sesso, e poi eri assente, staccato, pensieroso.

 

Non ho mai pensato potesse esserci un’altra donna. Tu eri il mio dolce signore e mi sarei lasciata fare qualsiasi cosa da te, qualsiasi. Non avrei avuto paura di nulla con te a fianco.

Invece hai scelto di andare via.

Emanuele torna, vieni adesso a tenermi la mano, muoio, lo sai? Muoio ed emerge dentro di me la tua presenza che non percepivo più da 30 anni.

Neppure quando mi capitava di risentire per caso le canzoni che hanno fatto da cornice alla nostra storia. Una sola volta mi è capitato, una sola volta.

Tu mi sei stati presente, tornavi per altre strade, anche contorte. Ma c’eri. E non c’eri…

 

Perché sei andato via quel giorno?

Perché mi hai voluto lasciare sola?

Perché non hai più voluto il mio corpo? La mia mente?

 

Emanuele….

 

Si?

 

Siamo arrivati.

 

Peccato penso. Il calore dell’auto e del suo sguardo. Gli occhi lucidi. Chissà perché mi ha chiesto la data di nascita?

 

Stai bene?

 

Riesco a dirle mentre mi allungo verso la portiera, non saprei come reagire… Sono qui nel buio sotto casa con una donna, una vera donna. Ho solo 15 anni, ma lo stomaco si agita.

 

Non, so, mi dice, mi gira un po’ la testa.

 

Posso fare qualcosa, le dico. Per una volta sono io ad appoggiare la mano sulle sue spalle come fa sempre lei quando mi chiama per dire che è ora di andare via. La reazione è lieve ma mi spezza lo stomaco. Appoggia la sua mano sulla mia. Sembra barcollare. Col capo scivola verso il pio petto. Si appoggia solo un attimo.

 

Scusa, mi gira la testa, dice un attimo e mi riprendo.

 

Le appoggio le mani sulla testa, lei le sue sui fianchi. Rimane ferma per un po’ non fa nulla. Io goffamente le accarezzo la testa, non so che altro fare. Lei mi ficca le unghie nei fianchi.

 

Vorrei che questo momento durasse per sempre. Non so quanto dura. Mi concentro sul dolore che sento sui fianchi, è bellissimo. Il suo profumo sale, è quello della poltrona. E quello della sua pelle.

La stretta sui fianchi si allenta. Singhiozza, mi pare che stia piangendo. Non lo so, non capisco più nulla.

 

Scusa, scusa, scusa, dice, adesso mi riprendo. Deve essere stato un calo di pressione.

 

Ma non toglie la testa dal mio petto. I continuo ad accarezzarle i capelli, goffo, non so.

 

Fa niente, dico io, aspetta e riprenditi con calma. Vuoi che andiamo al pronto soccorso?

 

No, no, mi capita ogni tanto.

 

 

E poi si tira su. Dio no, rimani ancora un attimo, si tira su. Mi guarda ha gli occhi rossi, sconvolti. Ma sorride. Un sorriso materno. Mi mette una mano tra i capelli e li scompiglia.

 

Grazie, dice, sei stato calmo e dolce. Adesso passa. Scappa a casa che è tardi. Non dire nulla a nessuno. Non voglio che si preoccupino, sto bene. E’ solo lo stress e la pressione.

 

Si.

 

Sono tornato ai monosillabi, devo avere una faccia sconvolta anche io.

 

Scendo dall’auto, stordito. Ho avuto tra le braccia una donna. E’ la prima volta per me. Una donna, non una ragazzina che si avvicina un po’ per ridere. Una donna. Una donna. Una donna….

 

Anna lo so che non capiterà mai più…. Lo so…

 

Se ripenso a quel momento adesso che ho quasi 40 anni ancora mi emoziono. Avere Anna appoggiata al petto è stata una delle emozioni più intense della mia vita. Molto più di aver fatto sesso con certe donne, molto più di tanto.

Non ho mai capito cosa sia successo. Al calo di pressione ho sempre creduto poco, non ne ha mai parlato. Non ti ho mai più visto in quelle condizioni…

 

Dio santo, che condizioni. Mi sono buttata tra le braccia di un quindicenne. Certo che nome, data di nascita, la canzone alla radio. Troppe scosse in un attimo solo. Gia ero uscita scossa, era una delle prima volte che rientravo nello studio dietro l’ingresso. Sulla poltrona di Emanuele c’era Emanuele. Sulla poltrona dove sono diventata donna, dove mi sono sentita amata e abbandonata dove ho avuto orgasmi come mille spilli, dolori e sentimenti, desideri e pulsioni, c’era Emanuele, il quindicenne. La poltrona dove il giorno in cui Emanuele il quindicenne nasceva Emanuele, il mio Emanuele decideva di issare bandiera bianca con me e con la vita. Come potevo farcela a ricacciare giù tutto. Erano quindici anni che non ci ripensavo davvero. Quindici anni che non mi ritrovavo di fronte al dolore più grande della mia vita.

 

Ciao Anna. Non ce la posso fare… A casa nel cassetto piccolo della scrivania ci sono lacci lamette e calmanti. Mi lascerò scorrere addosso la vita che scorrerà sul tuo profumo. Mi lascerò portare via, senza musica in sottofondo, senza pensarti, non ce la faccio. Il campanile di San Pietro batte le 19… è tempo…

 

Compiliamo il certificato di nascita. Emanuele, 27 marzo 1971, ora di nascita. Le 19.

10 Risposte a “Racconti – I dischi di Anna”

  1. Avevi già parlato di Anna.. me lo ricordo. Ma non avevo visto le foto dei 45 giri. Non posso non riesco a commentare ciò che hai scritto. è troppo denso di messaggi e emozioni. Non credo di esserne all’altezza. Ma mi hai trasmesso tantissimo. Non credo di aver ancora vissuto emozioni talmente forti come le tue adolescienziali da ricordare ad una distanza di tempo abbastanza lunga. Che il ricordo rimanga sempre piacevole. Ma il pensiero delle lamette in fondo mi colpisce.è tanto che non ci penso. Ora è rispuntato nella mia mente questo pensiero. Cercherò di cacciarlo via. Che ci riesca anche tu ricordando solo le cose piacevoli.

  2. Sono capitata qui per caso, a causa delle mie fobie…credo che scrivere sia l’unico modo per dare soddisfazione ai nostri bisogni più nascosti…certo l’arte può avere scopi molto più alti e pubblici, ma certamente sa liberare, dare compimento e senso alle nostre più profonde emozioni…si sentivano queste emozioni…è stato molto bello. grazie HellyMei

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