RACCONTI – La geometria di Antigone

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Perché nella vita ci vuole un po’ di geometria. In fondo siamo tutti dei solidi. Solidi di carne. Figure mutevoli che si scontrano tra di loro. Che si attirano, che si incastrano. Un grande tetris della sensualità corporea. Si ma intanto il silenzio rumoroso di questo posto ha qualcosa di fragile oggi. Il brusio dell’esterno che riverbera sulle pareti, il silenzio dell’interno che si espande come un ectoplasma di energia.

“E io sono una sfera. Ma non una sfera perfetta. Di quelle che hanno un equilibrio, per quanto precario, dettato dall’armoniosità delle curve. No. Una sfera asimmetrica. Con un taglio. Come una palla da bowling scheggiata dai troppi urti contri i birilli da abbattere”.

Un dito, due dita, il palmo della mano. Il fiammeggiante rosso dei capelli di Antigone sembra poter esplodere tra le mani di Sofocle. Come se fosse il teatro di Dioniso questa stanza bianca e asettica sembra l’anfiteatro di una storia che non deve avvenire. Gli spettatori sono tutti lì, silenti e trasparenti. Sono gli spettri delle paure, delle relazioni passate, presenti e future ma anche quelli dei desideri e delle frustrazioni.

E Antigone vibra. In quell’atmosfera statica. “Non mi toccare”, mormora Sofocle mentre la mano ritmicamente passa tra i capelli di lei. “Non mi toccare ti prego, non saprei come reagire. Neppure cosa fare, cosa dire”.

Sente che la geometria della sua sfera urta uno spigolo di un cubo. Le figure geometriche con spigoli e vertici, creste e apici, sono ignoranti. Ignoranti nel senso atavico del termine. Non sanno di poter fare male. Non sanno di poter fare nuove schegge nelle figure tonde. Come se fosse impossibile conciliarle. Le figure che hanno facce e vertici dovrebbero incastrarsi meglio. Già. Con altre figure simili.

Ma noi sfere non troviamo mai pace. Nessuno potrà mai aderire del tutto a noi e noi non potremo mai aderire del tutto a qualcuno. Però adesso fammi sentire più superfice possibile della tua pelle a contatto con la mia… Ti prego”. Lo pensa ma non lo dice Antigone.

Le sue mani sulle spalle e poi sul seno. No sul seno non rende l’idea. Sulle tette. Quelle altre sfere di carne che si porta appresso. Che Sofocle brama e respinge. “Toccami cazzo”, lo mormora a voce bassissima ma sembra esplodere nella stanza. E la mano scivola tra le gambe. Veloce. Forse lui non si è accorto.

Forse non si è accorto che mi sto sfiorando tra le gambe”, impossibile. La stoffa fa rumore come se stessero sfregando due pietre focaie. Un acciarino che schizza scintille tutto attorno. Ma non si ferma. Il movimento circolare ritmato continua.

Slaccia un bottone Antigone. “Forse non si accorge”. Basta scoprire un centimetro di pelle perché la pressione muti. Animale in gabbia. La figa di Antigone è un animale in gabbia che chiede aiuto e si difende. Sente il suo sguardo che scende lungo le pendici del corpo e si fissa tra le gambe. Adesso il ritegno è fottuto. “Fottiti ritegno, fottimi senza ritegno”, non lo dice Antigone. Lo pensa.

Le dita affondano nella carne. Ad allargare la ferita sulla sfera. L’ondata del suo odore e umore animale è una frustata violenta come quella di un domatore alla tigre. Che ama e odia. “Dammi da mangiare sennò ti sbrano”. Reprime il mugolare, reprime la voce Antigone. Vorrebbe urlare. Insultarlo, urlare, farsi male, urlare, darsi della troia, urlare, imprecare, godere, venire, venire, venire.

Invece tutto è sospeso nel formicolio alla gambe che paiono paralizzate. I confini della sfera si fanno labili. Anche la geometria perde le sue regole. Oggi.