RACCONTI – L’ora che non c’è

Ho sempre pensato che le notti abbiano un flusso segnato dalle ore. D’estate ad esempio. Fino al calo del sole è sera, poi inizia la notte. La notte dura fino alle 3, diventando sempre più fonda. Alle 5 è mattina. C’è un’ora che non ho mai saputo collocare, quella che va dalle 4 alle 5. Non è notte, non è mattino. E’ l’ora che non c’è. Quella era l’ora in cui arrivavi tu. Non sempre eh. Solo quando pensavi che la strada per casa mia fosse l’unica percorribile dalle tue gambe guidate dal cuore.

“Lo sai che quando arrivi da me poi inizia l’inversione dell’oscillazione”.

Mi guardi e piangi, ma lo so già che allo scoccare dell’ora in cui inizia il mattino il pianto si sarà asciugato e te ne andrai respirando più piano.

“Lo so, fidati di me”.

Mi guardi e piangi, ma silenziosamente, i singhiozzi sono già spariti. Il pianto si è già fatto meno salato, più dolce. Lo so, potrei provartelo assaggiando le tue lacrime.

“Ogni volta rimbalzi sull’orizzonte che inverte le cose, sul culmine della notte”.

Non piangi già più. Mi guardi con gli occhi sgranati, enormi, liquidi. Sembri un cartone animato giapponese. Colorata, con quella fascia che tiene fermi i capelli, la frangia rosso fuoco che incornicia gli occhi, enormi.

“Sono la tua ultima ratio”.

Poi finalmente parli.

“Un secondo dopo filtra la luce, sei il mio punto di scaramanzia assoluta. Hai un ruolo importante”.

Sorrido.

“Lo so credimi”

Dopo non c’è più bisogno di parole. Il ticchettio della mia sveglia scandisce il passare dell’ora che non c’è. Non rimarrai un minuto in più, e non ti rivedrò se non in lacrime e allo scavallare di una notte che non so.

Allungo una mano per toccarti, non mi guardi e non ti sottrai. Devo sentire che sei vera e sentire che consistenza e che calore ha la tua carne.

Una consistenza morbida, un calore quasi innaturale che si irradia dalle mie dita, sale che quasi lo vedo colorato dentro le mie dita e mi arriva dritto al centro del corpo. Hai un profumo di mattina, caldo, azzurro.

Se qualcuno potesse vedere la scena adesso vedrebbe una immagine di esitazione pazzesca. Di totale immobilità. Quasi fosse un quadro, una istantanea di quell’ora che sta per finire e che non esiste perché è troppo tardi per essere notte e troppo presto per essere mattino. Vedrebbe che ti guardo e aspetto che tu sorga.