Racconti – Quando la banda passò (senza capitolare)





La birra pessima e senza più schiuma nel boccale diventava calda e l’odore terrificante del liquore alla liquerizia che l’amica al tavolo accanto stava sorseggiando mi trapanava il cervello, dolciastro e ficcante. Il solo pensiero di spalmarlo sul sapore della pizza mi dava il voltastomaco. Su è giù dal palco il concerto continuava in qualche modo mentre con un lungo stuzzicadenti tenevo il ritmo slabbrato delle canzoni country che le tre cantanti cercavano di mettere in fila. “Chi fermerà la pioggia”, canta quella al centro morbida da sotto il cappellaccio da cowboy e saettando con gli occhi il chitarrista che ha sbagliato di nuovo armonica. Cercare di suonare in sol una canzone scritta in do è impresa notevole.

Se John Fogerty avesse vissuto una sola notte nell’umidità spezza ossa della bassa non avrebbe urlato al cielo di fermare la pioggia. Io di mio guardavo gli stivali delle tre cantanti. Un tocco di feticismo da saloon. Stivali bianchi cadenti sulle caviglie per quella a sinistra, alta bionda e sorridente; stivali neri con lacci bianchi per quella al centro e stivali marroni stretti per quella a destra, piccola nervosa e un po’ imbronciata. Le elucubrazioni para feticistiche mi stavano completamente distraendo, quasi non sentii il sibilo da friggitoria di terza categoria proveniente dal mixer. Un filo di fumo e poi il silenzio. Forse un sovraccarico, forse semplicemente il materiale decrepito con cui la band stava cercando di portare a casa la serata aveva esalato l’ultimo respiro. La scomparsa di voci e tastiere a favore della chitarra, che è acustica e continua ad essere grattugiata dal chitarrista anche senza corrente, mi strappano dal mio viaggio fetish. Alzo gli occhi e vedo gli sguardi tra il terrorizzato e lo sconsolato del trio di cantanti. I sei occhi fulminano all’unisono quello che sembra essere il direttore d’orchestra su cui scaricare tutte le colpe e le tensioni, che imperterrito porta avanti la canzone. Che canzone sia non so. Le mie facoltà non sono ancora del tutto risvegliate. Di riflesso tiro una gollata di birra, disgustosa.

Vedo una cattiva luna sorgere, vedo problemi sulla strada, vedo terremoti e fulmini, vedo brutti tempi oggi, canta sempre  Fogerty, per bocca della cantante al centro, in Bad moon rising, e vedo anche un cazzo di mixer giallo crollare strutturalmente. Eppure le tre cantanti ed i tre musicisti pretendono di continuare il concerto.

Applaudo al coraggio, assieme agli altri attorno. Fossimo in un cattivo film western di serie B la banda verrebbe presa a bottigliate e sulla testa del tastierista starebbe un cartello con scritto non sparate sul pianista. E ci sarebbe un barista della malora che mi serve un ottimo torcibudella e fuori ci sarebbe un cavallo ad attendermi. Invece il nuovo codice della strada mi frena dal bermi un whisketto, l’amica al tavolo non ha finito il suo cazzo di liquore alla liquerizia e la banda prosegue imperterrita incurante di ogni problema tecnico, se ci fosse Mina direbbe che quando la banda passerà in ogni cuore la speranza spunterà, amenità simili insomma, invece c’è solo una cazzo di umida sera di agosto che mi aspetta nel piazzale del locale perso nella campagna della bassa padana e una banda di geniali disperati che tira avanti a dispetto di ogni evidenza.

(alle mie amiche Gee Whiz)

Una risposta a “Racconti – Quando la banda passò (senza capitolare)”

  1. bello!
    mi ricorda Mister no mentre sbevazza cachaca in qualche squallida bettola di manaus!!
    Marco/Erasmo da rotterdam

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