Racconti – Vertigini

 

 


Quel sintomo in fondo c’era sempre stato. Per anni aveva galleggiato senza farsi troppo notare. Usciva quando era giusto ed il giusto. Mi affacciavo ad una finestra dal quinto piano e le gambe si facevano molli. Va bene, al mondo una buona percentuale di persone soffrono di vertigini. E’ una cosa comune no?

 

Poi un giorno, un giorno come un altro, la cosa ha cominciato a peggiorare. Piccolezze. Una persona cara che si affaccia dal balcone del quinto pianto, io la vedo e le gambe si fanno molli. E va bene pensavo, è una persona cui voglio bene, la ringhiera le arriva appena sopra le gambe. Potrebbe perdere l’equilibrio e cadere. Ovvio che tu abbia delle vertigini di riflesso. E’ una cosa abbastanza comune no?

 

Poi un giorno ero al cinema. Uno dei protagonisti all’improvviso si trova a lottare sul bordo di un reattore nucleare. Uno di quei filmoni di azione tutti effetti speciali ed esplosioni. La macchina da presa simula l’effetto baratro. E a me vengono le gambe molli. E va bene pensavo. I moderni sistemi di proiezione, il Thx che fa tremare le sedie, il 3D della pellicola. Vogliono ricreare l’effetto reale e la paura e ci riescono. E’ una cosa che può succedere no?

 

Intanto mi rendevo conto che i sintomi andavano peggiorando. Come con gli ascensori. Un giorno durante una visita turistica ad un famoso monumento feci l’errore di salire sull’ascensore panoramico. Una salita di 85 metri in una cabina trasparente dentro la cupola del monumento per sbucare nella terrazza panoramica da cui vedi tutta la città. Solo guardando in alto mi sentii svenire. Ma va bene, pensavo, è una sorta di sindrome di Stendhal da monumento. La hanno pure teorizzata. Capita a tanti no?

 

Ma poi il giorno dopo scendendo dal secondo piano dell’albergo in cui alloggiavo con il normale ascensore mi feci prendere dal panico dal fatto che, secondo me, ci stava mettendo più tempo di quanto dovesse a scendere. E poi ancora la settimana dopo prendendo l’ascensore che saliva al negozio dell’ottico da cui mi servivo mi sentii morire. Ovvio che discesi a piedi. Ma la paura degli ascensori e del chiuso, unita alle vertigini, è una patologia normale no?

 

Poi cominciai a non riuscire più ad uscire sul balcone di casa, al terzo piano. E va bene, diventò di proprietà dei piccioni. In fondo avevo sempre avuto un po’ anche paura a starci sopra, come ho sempre avuto paura a passare sotto i balconi. Sopravvissi.

 

Ma l’altezza da cui riuscivo a sopportare di guardare in basso diminuiva sensibilmente. Una sera m resi conto che le gambe tremavano guardando giù dalla gradinata di un castello, poi da quella degli spalti minuscoli dello stadio della mia città, poi dalle scale di casa.

 

Poi un giorno mi alzai dal letto guardai la punta dei miei piedi ed ebbi un giramento di testa. Ecco, fu li che mi resi conto che la cosa non era più tanto normale. Cercai su internet patologie di persone che soffrivano di vertigini guardando giù solo dalla loro altezza. Ma neppure il giocatore di basket alto due metri e cinquanta aveva mai sofferto di tale patologia.

 

E poi io chiamo la mia patologica ossessione vertigine, modo comune di etichettare la cosa. Ma le vertigini sono un sintomo di alcune malattie curabili: neurite vestibolare, otite media cronica, colestea-tomatosa, la malattia di Ménieré, la neuronite vestibolare.

 

No la mia forse era “solo” una forma sempre più acuta di acrofobia. Tra i sintomi di questa fobia viene detto che la situazione ansiogena può verificarsi anche solo pensando alle altezze, o vedendole. Era il mio caso… fino a poche settimane prima. Ma adesso avevo paura ad alzarmi da una sedia.


Per risolvere temporaneamente il problema pensai bene di simulare dei problemi agli arti inferiori e circolare su una sedia a rotelle. Quei trenta centimetri in meno a cui mi sottoponevo mi davano per adesso sicurezza. Pensavo che peggio di così non sarebbe andata e che informandomi avrei riportato il limite dell’altezza sopportata ad un normale primo piano da abitazione, almeno.

 

Intanto mi ero trasferito in un appartamento al pian terreno. Da li studiavo e leggevo. Mi informavo e cercavo di capire. Avevo tre mesi di congedo dal lavoro per malattia. Potevo farcela.

 

Quanto mi sbagliavo.

 

In capo a tre mesi anche stare seduto non bastava più. Il pavimento sembrava cosi lontano, cosi pericoloso. Riuscivo a sentirmi bene solamente sdraiato. E neppure sul letto. Ma a terra.

 

Avevo buttato il materasso sul pavimento. Tutto attorno avevo posizionato Le cose essenziali. Non guardavo mai in alto e non uscivo mai. Mi facevo consegnare la spesa a casa e pagavo con un servizio di banca on-line.

 

Pensavo di essere arrivato al culmine, al limite della mia fobia. Più in basso di un pavimento dove posso andare? Pensavo.

 

Una mattina aprendo gli occhi dal mio materasso a terra mi resi conto che mi girava la testa. E adesso? Più in basso del pavimento non posso andare. Sono finito. Ma nella disperazione mi venne un idea. Mi trascinai giù nella cantina della casa.

 

Stavo bene. Riuscivo anche ad alzarmi. Il limite era sopra la mia testa. Fu li che capii che era il limite d’altezza percepito dal mondo e non il mio che scatenava la mia fobia.

 

Cercai di trovare soluzioni. Trovai lavoro come addetto delle fogne, e un appartamento in un seminterrato. Per qualche mese tornai a vivere una vita quasi normale. Certo vivevo sotto il livello della terra ma in maniera dignitosa.

 

Ma un giorno il limite mi raggiunse. Si stava abbassando ulteriormente. Impiegai il tempo rimasto prima che arrivasse a terra nello scantinato per studiare la soluzione. Nel giro di alcuni mesi ero diventato uno speleologo teorico perfetto. Decisi di sfidare il Guinnes dei primati e mi feci calare in una caverna a tre chilometri di profondità dichiarando che vi avrei vissuto per 5 anni.

 

I 5 anni più belli della mia vita. Ma anche li il limite mi raggiunse. Pieno di tranquillanti dovetti sbucare al mondo. L’impresa mi aveva fruttato un bel po’di soldi. Ma ero disperato. Dove avrei dovuto andare a vivere ora? Al centro della terra?

 

Ma poi ripensai alla degenerazione della patologia. Il limite era sempre sceso dall’alto verso il basso. E se non rispettasse la gravita della terra ma solo scendesse il mio limite di sopportazione dell’universo?

 

Adesso vivo in Nuova Zelanda. Con i soldi dell’impresa speleologica ho aperto un barettto sulla spiaggia. Faccio surf e sono pieno di donne che mi chiedono perché non torno mai a casa, lassù sul tetto del mondo. Io non rispondo e aspetto che il limite mi raggiunga anche qua. Ma forse per allora sarò gia abbastanza vecchio e sazio di giorni…. E di figa.

 

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