Racconti – Vicinanze lontananze

Non lo so che cosa provasse nei miei confronti. In fondo non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo. Si gli ho girato attorno qualche volta, ma la domanda secca non l’ho mai fatta.

 

Anche io non ho mai avuto il coraggio di dirle in maniera chiara cosa provassi verso di lei. Gli ho girato attorno spesso. Ma non ho mai pronunciato quelle due parole, cinque lettere, che ti cambiano la pelle. Forse per paura, forse per rispetto ad un sentimento che credo nessun essere umano sappia provare veramente, forse perché sono sempre stato un coglione.

 

Ti voglio bene, mi piaci, ti adoro, si quello si. Le formulette da mezzo servizio le avevo utilizzate una marea di volte. Probabilmente fino a fargliele venire alla nausea.

Lei invece aveva sempre misurato le reazioni. Sarà per questo che certe cose me le sento marchiate dentro a fuoco. Come quando una notte stremata ad un mio ti voglio bene rispose com un “anche io”, biascicato ma potente, a cui fece seguire un “shhh, adesso dormiamo”. Mi azzittì quella notte e dormii con un senso di leggera  contentezza che mi pervase. Fermo immobile per non disturbarla. Nel mio letto a mezzo metro dal suo. In fondo eravamo solo compagni di appartamento. Un appartamento diviso per questioni di spese.

 

Ho passato decine di notti immobile nel mio letto con gli occhi spalancati puntati su di lei. Inquieta nel suo letto. Non sono mai riuscito ad arrivare all’alba per vederla sfilarsi dalle coperte e prepararsi per il lavoro. Crollavo sempre un attimo prima, anche solo dieci minuti prima di partire anche io. E quando mi riavevo lei era già scomparsa.

 

Un fantasma a cui non ho mai chiesto chiaro e tondo cosa provasse nei miei confronti.

 

Una volta, in una settimana di febbre da influenza in cui l’avevo accudita, un ricordo sublime, si lasciò andare ad un paio di commenti di una dolcezza “devastante” per me. Come quando davanti alla mia incapacità di parlarle a cuore aperto delle mie tempeste mi disse: “Sei fragile, adorabilmente fragile. Cose che non si dicono ad un uomo. Ma non farci caso è la febbre”. Quella frase l’ho stampata ancora in testa. Così come a risposta fulminante di qualche giorno dopo.

 

Era sfebbrata e io per fare lo stupido le dissi: “Adesso che stai bene non mi dirai più parole dolci, la febbre è passata”. E lei con nonchalanche tra una lamentela e l’altra: “In un certo senso ho sempre la febbre”. Credo che  il cuore in quel momento mi arrivò in gola.

 

Fatto sta che non ho mai avuto il coraggio di chiederle cosa provasse verso me. E non ho mai avuto il coraggio di dirlo, ma neppure di ammetterlo tra me e me, cosa provassi verso lei.

 

Di certo non provavo un desiderio sessuale verso di lei. Mi sembrava di sporcarla anche solo a pensarci.

 

Ora io di solito sono uno che ha fantasie ben precise, dettagliate. E non certo da educanda. Anzi… sorvolo sulle mie piccole devianze sessuali per non destare “scandalo”. Ma verso di dei avevo attrazione bianca, senza fantasie. Una sola volta mi capitò di avere una fiammata di desiderio violentissima verso di lei.

 

Talmente forte e violenta da non avere con se immagini di accompagnamento. Talmente schiacciante da non permettermi di muovere la mano verso il sesso e di masturbarmi.

Solo li con gli occhi sbarrati nel mio letto a pensare a lei e a combattere il desiderio di averla.

 

Non ho mai combattuto contro il desiderio violento che mi sono cullato dentro per un sacco di tempo di abbracciarla. Eppure non le ho mai chiesto neppure un abbraccio.

 

Si ce ne siamo detti a voce mille di abbracci. Formule ma non troppo. Non è mai stata persona da formula lei. Non ha mai parlato a caso o per leggerezza. Per questo i momenti in cui parlava con poche frasi, che strappava di dentro, erano strazianti e intensi. Incapace come era di fingere.

 

Poi c’erano i momenti di parole, tante parole, mai a caso. Discorsi a frammenti che in poche frasi saltavano tutto lo scibile umano del sapere, dell’essere e del volere. Non mi sono mai trovato senza argomenti. Talmente tanti e stupefacenti erano i rivoli del flusso di parole.

 

E poi c’era il silenzio. Momenti in cui sentiva la pesantezza della vita, la piccolezza degli esseri e la mia. Momenti in cui cercavo di essere indifferente e parlare come se nulla fosse. Una volta mi aveva detto che lei ascoltava tutto quello che dicevo e che le faceva piacere. Quindi io continuavo a parlare. Sapevo che era barricata da qualche parte ma che mi sentiva.

 

In quei momenti avrei azzittito il mondo per abbracciarla e nasconderla. Ma erano solo stupide e romantiche sensazioni mie. Certo, solo stupidaggini da adulto malcresciuto che cerca di fare stare bene una persona che ama con i mezzi che conosce.

 

Lei era invece terribilmente adulta. Forse mi percepiva come un bambino che cerca di fare star bene qualcuno. Mi ha sempre guardato con benevolenza, e  di questo le sarò per sempre grato. Forse davvero le mie goffe mosse le davano un mezzo sorriso dentro, almeno l’idea del sorriso.

 

Ma non ho mai sentito il calore della sua pelle. Non ho mai sentito le sue labbra vicine e non le ho mai chiesto di preciso cose provasse per me. E forse non glielo chiederei neppure se si parasse qui adesso. Adesso che non so dove sia finita.

 

So solo che un giorno tornerà e io sarò ancora un bambinetto che cerca di fare star bene l’amica più grande… O almeno ci prova…

8 Risposte a “Racconti – Vicinanze lontananze”

  1. anche io mi sento una bimba a volte, specie con la persona che in questo momento è per me quello che la ragazza è in questo racconto per te… ma vorrei che mi vedesse adulta. terribilmente adulta. come lei.

  2. CIAO STELLA, SI SI TUTTO BENE!

    Maritino ammalato a casa, e io con Riky alle prese con i dolcetti per Natale….ci vogliono 3 giorni interi per farli…madooooooo!!!!

    un baciottolo…ciao!

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