C’era questo spiazzo di erba spelacchiata e bruciata da sole, verde solamente per una breve striscia, quella che veniva un po’ protetta dal sole bruciante del pomeriggio dal muro in cemento bianco che costeggiava lo spiazzo. Lo spiazzo era delimitato da una recinzione mezza arrugginita dietro la quale passava la ferrovia.
Ci passammo tutta l’estate. L’estate del 1982. Due bambini di 12 anni abbandonati in un prato periferico della piscina comunale della piccola cittadina.
“Passammo l’estate su una spiaggia solitaria e ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto e sulla sabbia un caldo tropicale dal mare”.
Ci sentivamo un po’ così. Solitari ad ascoltare l’eco lontano delle persone che si divertivano mischiato ai suoni cibernetici ad onda quadra di un cabinato di Space Invaders che per qualche oscuro motivo era stato abbandonato a se stesso nello spiazzo di cemento coperto e deserto che portava dalla nostra spiaggia solitaria verso le vasche della piscina, affiancando l’uscita di quel meraviglioso mondo segreto e proibito che erano gli spogliatoi delle femmine.
“E nel pomeriggio quando il sole ci nutriva di tanto in tanto un grido copriva le distanze e l’aria delle cose diventava irreale”.
Erano gli strepiti dei bambini, o le urla delle madri che cercavano di ripescarli dall’ammollo in cui erano da ore e ore, con le dita ormai violacee e rugose. Qualcuno nella direzione della piscina doveva essersi innamorato di un disco, si perché invece che la radio gli altoparlanti gracchianti della piscina, si quelli RCF fatti ad imbuto, rimandavano in loop quelle sette iconiche canzoni, meno di mezz’ora di musica, che avrebbero segnato un epoca.
Il 21 settembre del 1981 era uscito “La voce del padrone”, il disco della vera svolta pop di Franco Battiato, dopo le prove generali de “L’era del cinghiale bianco” e “Patriots”, rispettivamente anno di grazia 1979 e 1980. Un disco che era esploso in quella calda estate mundial. Così mentre in luoghi esotici che non avevamo mai sentito nominare come Vigo e La Curuna si scriveva la grande storia sportiva azzurra, nelle classifiche di vendita dei dischi si scriveva la storia del pop italiano, un milione e passa di copie, su quel prato spelacchiato si scriveva la mia piccola storia.
“Mare mare mare voglio annegare portami lontano a naufragare via via via da queste sponde portami lontano sulle onde”, e forse quel lontano erano quegli esotici e assolati prati spagnoli, dove l’erba in fondo era spelacchiata come quella del nostro prato.
La prima canzone di quel disco aveva un titolo in inglese, e anche un bridge che cantavamo in coro senza sapere cosa volesse dire:
“A wonderful summer on a solitary beach against the sea “le grand hotel Sea-Gull Magique” mentre lontano un minatore bruno tornava”.
Ed eccoci così tutti accolti in un hotel che non esiste che così come l’Hotel California degli Eagles ancora oggi ci dà ospitalità ogni volta che da lontano arriva lo sciabordio delle onde che apre questa canzone.