Racconti – L’ombelico di Elisa

Elisa ha gli occhi profondi e trasparenti. Se riesci a infilare il suo sguardo mentre non si accorge di essere osservata le scivoli dentro. Elisa ha le mani che vivono di vita propria e il corpo e la testa che non sono andati d’accordo tra di loro per tutta la vita e adesso che si stanno avvicinando succede un corto circuito che potrebbe dare corrente a Buenos Aires per tutta la notte.

“Sono pazza lo so”, ti dice ridendo e raccontandoti di come alle volte si lasci percorrere di dentro solo per cercare di convincersi che i tempi stanno cambiando. Elisa vuole recuperare 20 anni di attenzioni negate da se a se stessa tutte in un colpo solo.

Si butta indietro sulla sedia stiracchiandosi e la felpa con la cerniera che un po’ la rende goffa quando è ingobbita verso la tastiera del pc  si alza e scopre il ventre, che si sta appiattendo di giorno in giorno (devo perdere ancora 5 chili, devo, devo, ti dice come un mantra). In quel momento mentre non si rende conto di essere osservata il suo copro muta e lascia filtrare tutta la nuova carica di sensualità che sta comprendendo poco e poco come un apprendista stregone sfuggito alle ferree regole del maestro.

Poi si rende conto di qualcosa che le sta sfuggendo e si ributta in avanti e ricomincia a parlare: “Mi fa male solo una cosa: la sconfitta”, ti racconta parlando di quel quadro personale che non è riuscita a terminare lasciando la sua figura e quella dell’altro protagonista della tela incomplete a metà tra un abbraccio e un respingersi in un moto perpetuo di sensazioni che non riesce a mettere in fila.

Poi si accendono gli occhi, sempre quando sfuggono all’attenzione altrui, mentre pregusta una presa gratuita e inaspettata di fisicità. Il corpo di Elisa vive una vita a se stante che lei ancora non capisce. O meglio chiede e si lascia dare le risposte, che spesso non sono quelle che Elisa si aspetta. “Faccio per una volta la fatina azzurra”, e lo dice con ironia e quasi senza crederci. Ma la flessuosità del movimento delle mani mentre lo dice e la profondità del luccicare degli occhi tradiscono le parole.

E si ributta indietro sulla sedia regalando ancora un istantanea di sensuale fisicità che crede di non avere. Elisa si rende conto che il suo corpo si sta ribellando alle convinzioni e si domanda cosa succede dentro di se. Se lo domanda ad alta voce rendendo esplicito lo schema del gioco che sta giocando, per cui ancora più spiazzante la visuale totale.

Poi le sensazioni sfuggono dal letto del canale navigabile che ha pazientemente pavimentato negli anni e diventano un fiume che tracima allagando la golena, cambiando panorama in un istante solo.

Ha solo voglia di dita che scorrono sulla schiena seguendo il baluginare dei muscoli dorsali che involontari riflettono sensazioni come fosse uno specchio deformante rendendole solide.

Dita che sfilino nel solco tra i seni come una goccia di condensa che scende dal vetro di una finestra in un giorno di pioggia, che aumenta di volume piano, che pare non muoversi mai, per poi rotolare all’improvviso veloce. Veloce a riempire l’ombelico, veloce a tracimare tra le gambe che bruciano.

Un bruciore denso ma asciutto d’amore. Un bruciore primitivo fatto di chimica e meccanica. Un bruciore che è solo da placare senza chiedersi nulla, solo per dare ragione a quel corpo che ogni tanto si alza sulla sedia scoprendo l’ombelico e mostrando sotto il guscio l’Elisa che verrà.

“Adesso però devo chiudere l’ufficio”, si risveglia all’improvviso, “ma prima lasciamo finire la canzone?”