RACCONTI – La lettera che non scrissi ad Ophelia

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Lo dice anche la canzone che le lettere d’amore fanno solo ridere. Ma quella che si apprestava a scrivere non poteva essere una lettera d’amore. Forse non era neppure una lettera. Con buona probabilità Ophelia non l’avrebbe mai letta. Non aveva senso che la leggesse. Eppure sentiva l’urgenza di scriverla. E no, non è una dannata lettera d’amore. Non sono innamorato di lei. “Io non mi innamoro”, si ripeteva da anni e ripeteva come un mantra, “al massimo desidero”.

Ed era bruciante desiderio quello che covava come una malattia che piano dilagava nel confronti di Ophelia. Un desierio che si autoalimentava e che infiammava le poche volte in cui riusciva a vederla. Infiammava di poche cose, davvero briciole adolescenziali, come il suo profumo, i pochi abbracci che riusciva a scambiarsi con lei, quel lieve bacio sulle labbra che era arrivato quasi per caso, la carezza. Piccolezze.

E allora perché mettersi davanti ad un foglio bianco per scrivere ciò che gli era sempre venuto male, sin da quando adolscente aveva provato a conquistare la ragazzina del cuore a suon di parole? Non aveva senso. Non lo aveva allora non lo aveva adesso a 40 anni passati. Lui e Ophelia si conoscevano da 10 anni. Le loro vite avevano corso su binari vicini per alcuni anni. C’erano interessi comuni e città comune. Poi si erano separate. E allora aveva capito che non poteva, o voleva, fare a meno di lei.

Già ma la vita. Lei era andata a vivere con l’uomo che frequentava da anni. Una scelta consapevole, libera, adulta. Lui era sempre lo stesso eterno adolescente nel guado. Ma da quando si erano separati continuava a pensare a lei. Le aveva detto ti voglio bene, le aveva detto ti desidero. Non ce l’avrebbe mai fatta a dire altro. Che senso avrebbe avuto anche dirlo? “Se ammettessi anche solo con me stesso che Ophel in fondo…”, non finiva neppure la frase tra se e se. Figuriamoci se avrebbe potuto dirla o scriverla in una stupida e melodrammatica lettera.

Continuava a fare queste considerazioni e il foglio rimaneva drammaticamente bianco. Aveva scritto in bella grafia Cara Ophelia. E poi nulla. Gli era sembrato incisivo nell’era della mail e degli sms puntare al foglio scritto a mano, alla lettera, al postino, all’attesa del viaggio. Ma tutti era finito li. Le parole non volevano e potevano uscire.

Non era certo lui il Fernando Pessoa della canzone di cui sopra che vede la pioggia battere obliqua sui fogli e sbavare l’inchiostro. E poi mentre il sangue si gelava nelle vene e le guance si arrossavano di paura e vergogna per i suoi sentimenti pensava: “e in fondo tutto quello che stai vivendo è solo un film tuo”. Pensare che quelli che da tempo interpretava come piccoli gesti di Ophelia per comunicagli che anche lei provava qualcosa erano solo cose casuali che lui aveva legato con uno stupido filo gli strizzava lo stomaco.

Doveva convincersi di quello. Convincersi. Poi ripensava a quel lieve bacio tanto atteso e cercato, a come gli era venuto da piangere per ore mentre faceva la strada del ritorno a casa e pensava che ne avrebbe voluti altri 100, 1000. Ai suoi occhi e alla sua voce che gli sussurrava “mi manchi”. Non c’era il giusto equilibrio per scrivere quella lettera.

E come il protagonista di quella canzone pensava che avrebbe dovuto costruire un delirante universo senza amore dove tutto è stanchezza e dolore. In fondo lo aveva fatto. Nel suo universo era contemplato solo il desiderio sessuale. Ma allora perché non riusciva neppure ad immaginare di scopare con Ophelia? Si immaginava di adorare il suo seno, glielo aveva anche chiesto. Ma poi?

Fare l’amore. Che espressione ipocrita. Nei rapporti fisici ognuno cerca quello che più lo appaga. Ecco. Forse stava raggiungendo una sintesi. Non avrebbe scritto quella dannata lettera. Anzi odiava Ophelia per essere la sola in grado di sconvolgere con un solo gesto il suo universo perfetto fatto di desiderio sessuale e di appagamento per il desiderio scemato. Invece no. Se pensava a lei quell’equilibrio bianco e nero era stravolto dai colori.

Poi chiuse gli occhi e butto il foglio in un angolo. E immaginò lei, come sempre.